XXIV Domenica del Tempo Ordinario

«Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette», cioè sempre. L’unica misura del perdono è perdonare senza misura. Perché vivere il vangelo di Gesù non è spostare un po’ più avanti i paletti della morale, del bene e del male, ma è la lieta notizia che l’amore di Dio non ha misura.

Perché devo perdonare? Perché devo rimettere il debito? Perché cancellare l’offesa di mio fratello? La risposta è molto semplice: perché così fa Dio; perché il Regno è acquisire per me il cuore di Dio e poi immetterlo nelle mie relazioni.

Gesù lo dice con la parabola dei due debitori. Il primo doveva una cifra iperbolica al suo signore, qualcosa come il bilancio di uno stato: un debito insolvibile. «Allora il servo, gettatosi a terra, lo supplicava…» e il re provò compassione.

Il re non è il campione del diritto, ma il modello della compassione: sente come suo il dolore del servo, lo fa contare più dei suoi diritti. Il dolore pesa più dell’oro.

Il servo perdonato, «appena uscito», trovò un servo come lui che gli doveva qualche denaro. «Appena uscito»: non una settimana dopo, non il giorno dopo, non un’ora dopo. «Appena uscito», ancora immerso in una gioia insperata, appena liberato, appena restituito al futuro e alla famiglia. Appena dopo aver fatto l’esperienza di come sia grande un cuore di re, «presolo per il collo, lo strangolava gridando: ‘Ridammi i miei centesimi’», lui perdonato di miliardi! In fondo, era suo diritto, è giusto e spietato.

L’insegnamento della parabola è chiaro: rivendicare i miei diritti non basta per essere secondo il vangelo. La giustizia non basta per fare l’uomo nuovo. «Occhio per occhio, dente per dente», debito per debito: è la linea della giustizia. Ma mentre l’uomo pensa per equivalenza, Dio pensa per eccedenza. Sull’eterna illusione dell’equilibrio tra dare e avere, fa prevalere il disequilibrio del fare grazia che nasce dalla compassione, dalla pietà.

«Non dovevi forse anche tu aver pietà di lui, così come io ho avuto pietà di te?» Non dovevi essere anche tu come me? Questo è il motivo del perdonare: fare ciò che Dio fa. Acquisire il cuore di Dio, per immettere la divina eccedenza dentro i rapporti ordinati del dare e dell’avere. Perdonare significa – secondo l’etimologia del verbo greco aphíemi – lasciare andare, lasciare libero, troncare i tentacoli e le corde che ci annodano malignamente in una reciprocità di debiti. Assolvere significa sciogliere e dare libertà. La nostra logica ci imprigiona in un labirinto di legami. Occorre qualcosa di illogico: il perdono, fino a settanta volte sette, fino a una misura che si prende gioco dei nostri numeri e della nostra logica, fino ad agire come agisce Dio.

Padre Ermes Ronchi