Il ’68 rappresenta uno dei periodi più significativi della nostra storia, l’inizio di un fenomeno sociale e culturale globale che ha investito l’Italia, l’Europa, il mondo, inaugurando anni di contestazioni, movimenti, conflitti sociali, riforme.
Nel cinquantesimo anniversario del Sessantotto le Acli dedicano, nell’ambito dell’Incontro Nazionale di Studi (Trieste, 13-15 settembre 2018), un ampio spazio di approfondimento e confronto su un periodo che ha cambiato la nostra storia, innescando cambiamenti che, come tutti i grandi fenomeni sociali ed economici, non si sono imposti nel giro di un anno ma in progressione nel decennio successivo.
Il tema del lavoro nel ’68 è al centro delle contestazioni e quel clima politico favorisce l’ondata di proteste e lotte sindacali operaie che si sviluppano a cavallo con il ’69.
La mobilitazione avviene in coincidenza con la scadenza triennale dei contratti di lavoro, in particolar modo quella dei metalmeccanici. Comincia l’autunno caldo, le cui prime avvisaglie si erano avute mesi prima, nel corso delle lotte sindacali per le indennità degli operai alle catene di montaggio e per il diritto all’elezione dei delegati di reparto.
Gli operai delle grandi fabbriche trovano degli alleati negli studenti, che parallelamente si mobilitano per il diritto allo studio allargato a tutti gli strati sociali. La loro azione combinata e le nuove modalità di sciopero paralizzano il Paese, permettendo di formalizzare alcune conquiste fondamentali: la riduzione dell’orario di lavoro, l’assemblea retribuita e la parità normativa tra operai e impiegati.
Le prime mobilitazioni iniziano nei primi mesi del ‘69, da una vertenza in corso alla FIAT relativa al passaggio dalla III alla II categoria di alcuni lavoratori. La dura reazione sindacale e l’intervento del governo costringono l’azienda a ritirare i provvedimenti di sospensione. La contestazione divampa in tutto il Nord Italia: la Pirelli viene occupata e alla Marzotto alcuni scioperanti distruggono la statua del fondatore. Si tratta di un terremoto sociale che coinvolge cinque milioni di lavoratori che rivendicano diritti, dignità e leggi, con l’appoggio inatteso degli studenti, impiegati e ceti borghesi; anche le donne fanno sentire la loro voce.
Alle rivendicazioni delle maestranze operaie si aggiungono quelle di categorie minori, manodopera maschile e femminile resa combattiva dall’esasperazione per il rincaro del costo della vita e la mancanza di servizi, case popolari, ospedali, trasporti e asili nido dove poter lasciare i figli durante la giornata di lavoro. Il movimento del ‘68 rappresenta anche una svolta nella strategia del sindacato su due fronti: la conquista di nuovi diritti e la capacità di rappresentanza nei confronti delle nuove generazioni.
Questo periodo si conclude con l’accordo finale, raggiunto il 21 dicembre con la mediazione del Ministro del Lavoro Carlo Donat Cattin, firmato l’8 gennaio 1970, che stabilisce significative novità per tutti i lavoratori italiani e sancisce l’acquisizione di diritti collettivi e individuali: riduzione dell’orario settimanale a 40 ore, aumento retributivo uguale per tutti, le 10 ore di assemblee sindacali retribuite, riconoscimento dei rappresentanti sindacali in azienda. Lo statuto dei lavoratori sancisce quindi importanti modifiche sia sul piano delle condizioni di lavoro sia su quello dei rapporti tra datori di lavoro, lavoratori e rappresentanze sindacali.
Fonte: www.acli.it