XXVII Domenica del Tempo Ordinario

Quando si termina un libro, le ultime pagine a essere scritte sono le introduzioni, quelle che racchiudono l’intero viaggio alla lettura. Così anche per la Bibbia: bellezza straordinaria e immensa, potenza della Parola sono i primi capitoli della Genesi. Sono racconti sapienziali, che non hanno nulla a che fare con «l’inizio» del mondo, sono narrazioni sull’«origine». Ciò che sta all’origine dello stare al mondo, all’origine della solitudine, all’origine dell’amore, del conflitto, del sospetto. All’origine. Un narratore senza volto né nome era presente ancor prima delle Parole di Dio, un narratore è riuscito persino ad entrare nella coscienza del Divino, quel narratore ha guardato negli occhi di Dio che ammiravano sei volte «è cosa bella, è cosa buona», e per la settima: «non è bene, non è bella la solitudine». La solitudine non è buona per l’umanità: prova ne è la nostra sofferenza ogni volta che ci sentiamo soli, abbandonati, delusi, persino da Dio. Non è bene per l’uomo che sia solo, voglio fargli un soccorso, voglio dargli un volto che lo possa salvare.

L’umanità è capace di dare un nome a tutti gli animali. Principio di scienza, il poter dare un nome: all’ultima stella scoperta, alla più piccola particella di materia, alla malattia riscontrata, all’intelligenza artificiale, al pensiero del mondo, a quello che si sta vivendo. Dare un nome è compito dell’umanità, per custodire animali e terra, Paradiso e Pace. Dare un nome per non cadere nel silenzio della ferocia. Tra i mille nomi, sentire che nessun è in grado di venirmi in soccorso, nessuno che sia in grado di riempire questo vuoto di solitudine.

All’umanità non viene tolta una «costola»; viene tolto ben di più, all’umanità viene tolta una «parete». È una parete preziosa, è la parete del Tempio: che cos’è l’uomo, che cos’è la donna? È un Tempio, un Tempio incompleto, una casa con solo tre pareti. Per l’intera vita cercherà quella parete mancante, e solamente insieme, unicamente insieme, potranno essere casa completa, tempio a quattro pareti. Un inno e una meditazione sulla nostra sete, al nostro desiderio, alla nostra incompletezza e alla felicità provata, quando, tra i mille volti e i mille nomi, incontro l’uomo e la donna che sono il volto in cui mi ritrovo e mi sento finalmente a casa.

Ora che l’umanità è separata tra maschio e femmina, ora che c’è un volto altro da me, l’uomo riesce a parlare. Come al solito, dice cose che sarebbe stato meglio aver taciuto: «Carne della mia carne, ossa delle mie ossa. La chiamerò donna, perché da me è stata tolta». No, Adamo, non hai nessun diritto di dire queste cose: non ti appartiene, non è un tuo possesso. Già qui, in queste parole, inizia un peccato che sta all’origine, il ridurre l’altro al mio bisogno, il ridurre l’altro ad un sottomesso. Ben prima di un serpente antico inizia la violenza del peccato, inizia da questo egoismo e da questa pretesa di ridurre l’altro a mia immagine e somiglianza. All’origine.

E Gesù riprende il sogno, il sogno dell’origine. Ci chiede oggi di riportare al cuore il sogno della nostra vocazione, il sogno di quel progetto di vita insieme, il sogno che ci ha salvati e ci ha permesso di uscire da noi stessi. Maestro del desiderio, ci invita a lasciare il padre e la madre, quelli di dentro. È vero, il sogno si è frantumato, il sogno non sempre è stato all’altezza, il sogno ci ha delusi, disamorati, provati e sconfitti. «Dicono che è vero che per ogni slancio tornerà una mortificazione. Dicono che è vero che ogni sognatore diventerà cinico invecchiando. Dicono che è vero, sì ma anche fosse vero non sarebbe giustificazione per non farlo più, per non farlo più, ora» (Lorenzo Cherubini). Sant’Ignazio di Loyola ci indica che amare è servire, onorare e lodare. Servire, onorare e lodare. Questo Gesù ci restituisce: ci restituisce il nostro sogno. Un sogno che non può essere millesimato dalle regole, un sogno che non può essere gettato via come una scarpa usata. Un sogno da custodire, da onorare, da servire, da lodare.

Come un bambino: è la terza volta che compare. La prima volta davanti alla sete di potere, la seconda volta davanti all’indignazione e allo scandalo, ora davanti al sogno infranto. Come un bambino, chiamati a custodire il sogno. Il Regno appartiene ai bambini: ci ricordino loro come innamorarsi ancora, come si custodisce un amore.

Don Andrea Varliero