XXIX Domenica del Tempo Ordinario

L’evangelista Marco, ancora una volta, con il suo stile sobrio e incisivo, ci lascia intuire la totale incomprensione dei discepoli. C’è una distanza tra i dodici e il maestro, è come se parlassero lingue diverse: Gesù annuncia la sua passione e morte, e i discepoli si preoccupano dei loro posti di onore.

Ma quello che piú mi sorprende non è la cocciutaggine dei discepoli, ma la pazienza di Gesù! Sarà perché mi accorgo che anch’io, almeno una volta al giorno, metto a dura prova la pazienza del maestro e mi commuove la sua pazienza.

Gesù non si scandalizza della richiesta di Giacomo e Giovanni, non li rimprovera, non li espulsa dal gruppo. Il maestro si siede con loro e ricomincia da capo, ancora. Insegna. Spiega. Racconta. Che meraviglia!

Gesù è come un vasaio che prende e riprende tra le sue mani calde la creta ribelle che non vuole lasciarsi modellare. Le sue mani sono pazienti, non si stancano di rimpastarci e rimodellarci. Ci mette sul tornio una, dieci, mille volte. Gesù non si stanca delle nostre debolezze, le sue mani continuano a modellarci a sua immagine e somiglianza.

Seguire Gesù comparta un radicale capovolgimento, lo abbiamo visto molte volte meditando il Vangelo di Marco. Chi vuol essere grande, si deve fare servitore; chi vuol essere il primo, si deve fare schiavo di tutti. Ed è importante ricordare che questo programma di vita, prima di essere quello del discepolo, è quello di Gesù.

Se mi faccio servo non è per umiliarmi o perché non valgo niente, ma perché Gesù ha scelto l’umiltà per rivelare il Volto del Padre.

Se scelgo l’ultimo posto è per stare con Gesù e per vedere le cose come le vede Lui. Il mio punto di vista è solo la vista di un punto, ma guardare le cose con gli occhi di Gesù è il punto d’inizio di ogni conversione.

Un abbraccio
don Roberto Seregni