Tutti i Santi

Ho mai incontrato dei santi nella mia vita? Chiudo gli occhi e, sì, sono tanti e tanti volti di santi e di sante che ho incrociato. Tante donne, tanti uomini, tanti anziani, tanti bambini, tanti giovani, tante persone che posso dire mi abbiano indicato che cosa sia la santità. Sento che sono ancora tutti qui dentro di me, sono loro il testamento spirituale che mi hanno lasciato, il tesoro più prezioso a questi brevi giorni. Rivedo il volto del santo in quel prete anziano, tonaca “slisa” e una vita intera vissuta assieme alla povera gente del paese, davanti alla porta della Chiesa ancora una volta ripetere disarmato: «Gli voglio un mondo di bene», indicando il tabernacolo. Il volto di quella suora capace di ascolto e di presenza, una parola buona per crescere. Il volto di quel medico, che insieme agli amici ha costruito ospedali e dedicato cura. Il volto di quella bambina, che non ha avuto paura a prendere le difese per l’escluso dalla classe. Il volto di quell’insegnante, capace di appassionare alla ricerca autentica. Il volto di quell’anziana che, inferma a letto, desidera la santità, Dio stesso, sempre di più. Il volto di quella coppia che ha accolto tra le braccia una vita altra da sé, ancora con tanta e tanta fatica. Il volto di quella figlia che ha custodito il padre fino all’ultimo respiro, il volto di quel fratello che ha saputo riabbracciare, dopo tanta amarezza, tutta la famiglia. I santi sono presenti, oggi più di ieri: sono loro a sostenere questo fragile mondo sbilenco, colonne di umanità. Oggi, in questa liturgia di luce, vogliamo ricordarli tutti, i volti dei santi della porta accanto, volti che non sono saliti sugli altari, ma ben di più: ci sono entrati dentro, dentro al santuario della nostra esistenza. Sono loro ad averci salvati, ad averci dato una direzione e un senso, un punto fermo dove approdare e da cui continuamente ripartire. Sono loro ad aver avuto la pazienza, l’infinita pazienza, a ricominciare ogni volta con noi. Sono loro quel volto di Dio che ci è passato accanto, senza rendercene conto. Beati, felici. Tutti i nostri santi. Oggi li riportiamo al cuore della nostra vita, li ricordiamo.

Che cosa mi manca per essere felice? Quando ho respirato un attimo di felicità, un momento di santità? Se chiudo gli occhi, felicità per me è giunta assieme ad attimi di intimità, momenti di allegria, scelte di responsabilità, respiri di meraviglia. Quando sono in connessione, quando sono in comunione, quando vivo un momento di amicizia autentica, lì sento la felicità, nel dono di sentirmi ascoltato e di ascoltare. La grazia di un’intimità, senza dover dimostrare alcunché, quasi una preghiera. Ho respirato la felicità quando sono stato veloce, senza impaludarmi in risentimenti o in ossessioni, un attimo di leggerezza che mi ha reso alacre, allegro. Ho respirato la felicità quando sono stato chiamato ad essere qui dove sono, dando il meglio di me, responsabile e corresponsabile. Non facendo cose straordinarie, ma rendendo straordinario ogni minimo dettaglio. Ho sentito salire dal di dentro la felicità quando una meraviglia mi è apparsa davanti, stupore del Creato o dell’ingegno umano. Ho compreso che la felicità, la beatitudine, la santità è sempre una relazione, un rapporto umano. Con Dio e con i fratelli. La felicità mi è donata ed è un mio impegno quotidiano, impastata di grazia e di pazienza, di affinamento a sempre cercarla in quello che vivo, tra le parole, i pensieri, i sentimenti, le scelte.

Beati, felici. Abbiamo quasi paura a parlarne, a respirare la felicità. Ci sembra così fragile, che in un attimo voli via. Ci sembra roba degli altri, ma non che sia di casa per noi. Ci sembra minacciata e irraggiungibile, che non ce la meritiamo. Forse, e dico forse, la stiamo cercando altrove, confondendola con altre parole come gratificazione, appagamento, successo, salute, benessere, serenità. Eppure, gli uomini e le donne della felicità, delle beatitudini, hanno saputo viverla anche in prigione, anche in un letto di ospedale, anche nel vuoto lasciato, anche nell’ingiustizia subita. Tra le lacrime e la fame, tra ingiustizia e ferocia. Uomini e donne delle beatitudini.

Beati, felici. Oggi è una liturgia del sorriso che siamo chiamati a riprendere dentro di noi, ad accendere nei nostri volti. Una Chiesa di santi non è una comunità triste, brontolona, asserragliata. Credo la Chiesa dei santi, sorriso di Dio pur tra le spine e le lacrime. Credo la Chiesa dei santi, non degli arrivati, ma di chi è sempre pronto a ricominciare. Credo la Chiesa dei santi, che fanno fiorire più vita attorno a loro: «Al mondo c’è una sola tristezza: quella di non essere santi. E quindi una sola felicità: quella di essere santi» (Léon Bloy).

don Andrea Varliero