XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

Seminare e attendere. Perseverare andando fino in fondo a un’idea, a un’intuizione, a un servizio, sfociando così nella verità della vita: ogni atto umano totale ti avvicina all’assoluto di Dio.

Dov’è la buona notizia in questo Vangelo di catastrofi, apocalittico ed estremo? Siamo davanti al racconto di ciò che è accaduto in ogni tempo, e che oggi si ripete: guerre ovunque, violenza, arroganza, aria acqua terra avvelenati.

Siamo sul crinale ripido della storia, in equilibrio alla ricerca di una traccia: da un lato il versante oscuro della violenza; dall’altro la tenerezza che salva, una terra di pace dove “neppure un capello” andrà perduto.

E capiamo che il vangelo non parla della fine del mondo, ma del mistero del mondo; non la fine, ma il fine del nostro mondo.

Dobbiamo ascoltare il ritmo e il respiro ultimo di queste parole:

1 – quando sentirete parlare di guerre, non vi spaventate, non è la fine;

2 – sarete traditi e uccisi, ma nemmeno un vostro capello andrà perduto;

3 – vi saranno segni nel sole, nella luna, nelle stelle: ma voi alzate il capo, perché la liberazione è vicina.

Ad ogni descrizione di dolore segue un punto di rottura, e tutto cambia.

E questo succede ogni volta che mi prendo cura di un pezzetto della mia terra e delle sue ferite. A partire dal mio piccolo metro quadrato.

Esagerato? Sì, ma così bello. Il niente dei capelli usato da Gesù per dire che qualcuno ti vuole bene fibra dopo fibra, che nulla è insignificante per chi ti ama.

Salvare vuol dire conservare. E il credente sa che, per la Risurrezione di Cristo,
non va perduto nessun frammento d’uomo;
nessun atto d’amore,
nessuna generosa fatica,

nessuna dolorosa pazienza.

Sulla terra intera, come nel mio piccolo campo, imperano menzogna e violenza. E io, cosa posso fare?

Usare la strategia del contadino. Rispondere alla grandine piantando nuovi vigneti, e per ogni raccolto perduto oggi prepararne un altro per domani.

Seminare e attendere, vegliando sulla vita che nasce. E perseverare, andando fino in fondo a un’idea, a un’intuizione, a un servizio, e sfociando così nella verità della vita: ogni atto umano totale ti avvicina all’assoluto di Dio.

Mi rimane scolpita l’ultima riga: Ma voi, risollevatevi.

Quel “ma” è come una resistenza, un’opposizione a tutto ciò che sembra vincere.

In piedi, a testa alta, occhi al cielo, liberi e profondi: così vede i discepoli il vangelo.

Verranno giorni nei quali non sarà lasciata pietra su pietra. Non c’è nessuna cosa terrena che sia eterna. Ma l’uomo sì, è eterno. È meglio che tutto crolli, comprese le chiese più belle, piuttosto che crolli un solo uomo, questo dice il vangelo.

Ma quando il Signore verrà, troverà ancora fede sulla terra?

Sì. Io credo di sì. Non dice: troverà ancora parrocchie, unità pastorali, Diocesi, ma fede. Troverà quelli che credono che l’amore e la bellezza sono più forti della cattiveria, che la giustizia è più sana del potere. Quelli che credono che, nonostante tutte le smentite, questa storia non finirà nel caos o nel nulla, ma in un abbraccio.

Un abbraccio che ha nome ‘Dio’.

Padre Ermes Ronchi