La folla radunata attorno a Gesù ha fame. Attratta da lui, lo ha seguito a piedi (cfr. Mt 14,13). Gesù non è uno dei soliti parolai: lui è capace di dissetarli e saziarli. Perciò gli corrono dietro, senza pensarci due volte. Quando Gesù li vede, prova compassione (cfr. Mt 14,14). Com’è bella questa compassione di Gesù, questo sguardo dentro ogni cuore, questo farsi carico della loro fame, delle loro storie, delle loro malattie, delle loro fatiche. Si era appena ritirato in disparte, aveva cercato la solitudine (cfr. Mt 14,13): era solito fare così quando desiderava stare in intimità col Padre. Il desiderio di pregare è qualcosa di grandioso. È desiderio di vita! È desiderio di un cibo che quella folla ancora non conosce.
Gesù crede nella forza e nell’efficacia della preghiera. Noi un po’ di meno. Preferiamo fare tante cose. Ci sentiamo bravi quando la nostra agenda è piena, magari anche di attività pastorali e di evangelizzazione. Eppure, «non è raro che il nostro silenzio e le nostre preghiere facciano di più per portare la gente alla conoscenza di Dio, di tutte le parole che possiamo dire su di Lui. Il semplice fatto che desideri dare gloria a Dio parlando di Lui non costituisce nessuna prova che il tuo discorso gliela darà. E se invece preferisse che tu tacessi? Non hai mai sentito che il silenzio Gli dà gloria?» (Thomas Merton, Nessun uomo è un’isola).
Possiamo imparare ad avere più fiducia nella forza e nella speranza racchiusa nel coraggio di un silenzio orante. Nel lasciare che l’animo sia mosso dal vento leggero della presenza di Dio. Per scoprirsi capace, con il Suo aiuto, di innalzarsi al di sopra di se stesso.
Ma vedendo la folla, Gesù è spinto a lasciare quel momento di intimità col Padre. È strepitosa questa duplice passione nella vita di Gesù: egli vive per il Padre ma vive anche per i figli. I due amori sono, in realtà, un unico amore, perché dona ai figli lo stesso amore che è tra lui e il Padre. Egli non possiede nulla, perché tutto ha ricevuto dal Padre. E chiede ai discepoli di essere come lui: liberi di donare e di donarsi, perché è vero che non possiedono nulla, ma tutto ricevono in dono da Gesù.
E quando essi lo invitano a congedare la folla perchè vada a comprare il cibo nei villaggi, Gesù li ferma: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare» (Mt 14,16). Quando ti senti vuoto e povero, è il momento in cui Dio ti riempie e ti rende dono. Sei chiamato a prenderti cura, a essere fedele. Sei chiamato a dare cibo e acqua. Sei chiamato a saziare la fame e la sete delle persone che fanno parte della tua vita. Sei chiamato a creare legami e, al tempo stesso, a rendere liberi. A ridonare a ognuno la propria dignità. La forza per farlo non viene da te. Gesù, infatti, «dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla» (Mt 14,19). È Lui, lui solo, che dona il pane che può saziare la fame più profonda dell’uomo! Ma lo dona attraverso di noi.
Possiamo imparare il coraggio della responsabilità. Chi diventa madre o padre, lo è per sempre. Ed è realmente libero, perché la vera libertà è nell’amare. Nel non trattenere niente per sé, nel donare tutto per amore. Come ha fatto Gesù. Lui che un giorno aveva detto: «Non posso dunque fare quel che mi piace?» (Mt 20,15), ci insegna la gioia di distribuire il pane anche quando manca. Ci dà la forza di avere fiducia nell’altro, per far nascere la vita. «Caratteristica suprema del Suo amore è la Sua libertà infinita. Non può essere costretto a rispondere alle leggi di qualsiasi desiderio, cioè di qualsiasi necessità. È senza limiti perché è senza necessità. E perché è senza necessità il Suo amore va in cerca del bisognoso, per dare a lui non un poco, ma tutto» (Thomas Merton, Nessun uomo è un’isola). E anche a noi insegna ad essere liberi. Ci insegna ad essere madri gli uni degli altri quando dice: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mt 14,16).
Suor Mirella Caterina Soro
Suore Domenicane di Pratovecchio