Ai piedi della croce. Sosta insolita quella a noi proposta dalla liturgia in questa domenica di settembre. Dipendesse da noi frequenteremmo ben altre mete che il Calvario, mete più allettanti e compiacenti. E, tuttavia, proprio quelle mete che più seducono sono quelle più incapaci di mantenere ciò che promettono.
Cerchiamo a lungo relazioni e contatti che ci facciano superare solitudini e angosce garantendoci l’amore, quello vero, quello che non subisce scossoni e, talvolta, ci sembra di averlo trovato ora in questo ora in quello, salvo poi scoprire che quell’amore svanisce quando finisce l’entusiasmo e il sentimento.
Ai piedi della croce, se accettiamo di non distogliere lo sguardo da essa, scopriamo quando e cosa è l’amore vero. Scopriamo, infatti, che non c’è amore se non si accetta persino l’unilateralità dell’offerta quando l’altro dovesse voltare le spalle: “così Dio ha amato il mondo…”.
Ai piedi della croce, impariamo a riconoscere l’inconsistenza dei nostri successi e la fallacia delle nostre illusioni.
Ai piedi della croce, le nostre immagini di Dio legate a manifestazioni di potenza devono fare i conti con un Dio il cui amore accetta di farsi annientare pur di non prevaricare: lì, infatti, sono annientati l’idolo della forza, del potere e dell’orgoglio. Dio si fa annientare senza distruggere.
Ai piedi della croce, tocchiamo con mano come tutto ciò che in noi dice vulnerabilità e limite, tutto ciò che in noi sa di fango e di lacrime, è proprio l’aspetto dell’umanità con cui il Verbo di Dio celebra il suo sposalizio che niente e nessuno potrà mai sciogliere. Ciò che più sa di contatto con la terra, è proprio ciò che più deve essere innalzato.
Ai piedi della croce, per una grazia tutta singolare, proprio i lati di noi che più sembrano portare distruzione e morte, diventano i canali attraverso cui scorre una nuova linfa vitale.
Ai piedi della croce, scopriamo ancora che la strada da percorrere è al contrario rispetto a quella finora battuta: Dio, infatti, innalza ciò che noi detestiamo ed umilia ciò che noi esaltiamo.
Ai piedi della croce riconosciamo che Dio fissa l’appuntamento con lui in quelle situazioni, persone o realtà alle quali noi non assegneremmo mai un compito di rivelazione del divino. Anche là Dio si nasconde. E pur tuttavia è presente.
Ai piedi della croce, impariamo che se Dio può apparire non poche volte nascosto, non per questo possiamo concludere che sia assente. La nostra storia, personale e comunitaria, va letta come luogo nelle cui pieghe c’è una potenza dinamica, ricca di energie capaci di rinnovare, di trasformare e che pur tuttavia resta nascosta e richiede un occhio tutto particolare per riconoscerla, accoglierla e valorizzarla.
Ai piedi della croce, riconosciamo che ciò che è “immagine della sofferenza” può essere anche “immagine dell’amore di Dio”, ciò che è “immagine di impotenza” può essere anche “immagine di misericordia”, ciò che è “immagine del silenzio” può essere insieme “immagine di una particolare parola del Signore”.
Ai piedi della croce, facciamo esperienza del “tanto” di Dio. Spesso siamo tentati di pensare che Dio si fermi a molto meno. La croce, invece, ci rivela come l’amore sia scandalosamente eccessivo da privarsi di ciò che Dio poteva avere di più caro, il Figlio.
Abbiamo bisogno di tornare più spesso ai piedi della croce se vogliamo fare nostro l’invito rivoltoci dal ritornello del salmo responsoriale: “Non dimenticate le opere del Signore!”. Distogliere lo sguardo dal Crocifisso equivale a una irreparabile perdita della memoria a cui cerchiamo di far fronte con antidoti che provocano maggiore sclerosi.
Antonio Savone
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