La grande lezione del Vangelo di oggi è proprio il comandamento dell’Amore:
Amore per Dio e Amore per il prossimo. Attenzione questo comandamento non è scisso.
Amore per Dio da solo farebbe cadere il nostro rapporto con Lui in idolatria.
Amore per il prossimo da solo condurrebbe il tutto nella dimensione bella, ma nello stesso tempo della filantropia.
Ma chi è il mio prossimo?
La parabola del buon Samaritano, che cura il ferito abbandonato dagli altri, conduce a una chiarificazione. Il concetto di «prossimo» era riferito, fino ad allora, ai connazionali; adesso questo limite viene abolito. Chiunque ha bisogno di me e io posso aiutarlo, è il mio prossimo.
Nel Giudizio finale Gesù si identifica con i bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati. «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Amore di Dio e amore del prossimo si fondono insieme: nel più piccolo incontriamo Gesù e in Gesù incontriamo Dio.
L’amore del prossimo può realizzarsi quando imparo a guardare l’altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mio amico. Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all’altro lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno.
Amore di Dio e amore del prossimo sono un unico comandamento. Entrambi vivono dell’amore di Dio che ci ha amati per primo.
«Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”. Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con chiarezza il centro della fede cristiana. Ho creduto all’amore di Dio: così il cristiano esprime la scelta fondamentale della sua vita.
Allora il nostro impegno caritativo deve avere queste direttrici:
– l’attività caritativa cristiana, oltre che sulla competenza professionale, deve basarsi sull’esperienza di un incontro personale con Cristo, il cui amore ha toccato il cuore del credente suscitando in lui l’amore per il prossimo;
– l’attività caritativa cristiana deve essere indipendente da partiti ed ideologie. Il programma del cristiano – il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù – è «un cuore che vede». Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente;
– l’attività caritativa cristiana, inoltre, non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L’amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l’azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l’amore. L’inno alla carità di San Paolo (cfr 1 Cor 13) deve essere la Magna Carta dell’intero servizio ecclesiale per proteggerlo dal rischio di degradare in puro attivismo.
In questo contesto, e di fronte all’incombente secolarismo che può condizionare anche molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo, bisogna riaffermare l’importanza della preghiera. Il contatto vivo con Cristo evita che l’esperienza della smisuratezza del bisogno e dei limiti del proprio operare possano, da un lato, spingere l’operatore nell’ideologia che pretende di fare ora quello che Dio, a quanto pare, non consegue o, dall’altro lato, diventare tentazione a cedere all’inerzia e alla rassegnazione. Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione sembra spingere unicamente all’azione, né pretende di cambiare o di correggere i piani di Dio, ma cerca – sull’esempio di Maria e dei Santi – di attingere in Dio la luce e la forza dell’amore che vince ogni oscurità ed egoismo presenti nel mondo.
don Michele Cerutti