Venne da Gesù un lebbroso
L’episodio della purificazione del lebbroso si incastra fra la partenza di Gesù da Cafarnao per andare altrove ed il suo ritorno nella cittadina lacustre. Dell’incontro con il lebbroso non è detto nulla del luogo e neppure del momento, il racconto di Marco ci offre un respiro di universalità. Non c’è neppure la folla, forse sparita proprio a causa della lebbra: è il segno dello “scarto” che affligge in modo troppo evidente il mondo moderno.
Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi” [EG 53].
Il lebbroso è impuro agli occhi degli altri, intoccabile, doveva vivere al di fuori della società e negate tutte le sfere relazionali, affettiva e sociale, escluso dalla famiglia, dal lavoro, dal culto; la sensazione è di essere emarginato anche da Dio.
«Se vuoi, puoi purificarmi!».
La malattia e l’emarginazione indurisce l’animo, incattivisce, porta ad ulteriore isolamento, a una sfiducia totale verso la società, gli altri, la vita stessa. Colpisce l’atteggiamento di quest’uomo che, invece, cerca Gesù, non si rinchiude nell’autocommiserazione, non si piange addosso, supera le barriere messe dalla società fra lui e gli altri, tra il mondo degli esclusi e la società degli uomini “perbene”.
Respinto dalla legge di Dio (Cfr Lv 13,45s) percepisce che non può essere escluso anche dal suo cuore; per quanto la sua pelle riveli agli occhi degli altri un peccato profondo e l’esclusione dalla salvezza, quell’uomo manifesta la convinzione che la realtà non può essere quella.
Troppo a lungo nel mondo dei cristiani affiora l’idea del castigo divino che mantiene l’uomo lontano da Dio, autoescluso dal suo amore. Quest’uomo malato si getta invece ai piedi di Gesù certo che “può” fare qualcosa per lui. Muoversi verso il Signore è un vero e proprio atto di fede perché riconosce un Dio che salva, anzi che, se vuole, potrà salvarlo.
Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere (Sap 12,18).
Ne ebbe compassione
Gesù non guarda alla lebbra, non ne prova vergogna o ripulsione come gli altri, ma compassione. Il verbo greco splanchnízomai indica un movimento viscerale, Gesù è scosso nelle viscere come una donna partoriente: è il Dio che ama e si commuove come una tenera madre per i suoi figli (cfr. Is 49,15). Non è solo compassione nel senso comune del termine (provare pena) ma un autentico patire-con, entrare in comunione con l’altro in una profonda condivisione interiore, Gesù si lascia ferire dalla sofferenza del malato, manifesta una sorta di ira (riportata da alcuni codici in greco) per la situazione di quell’uomo senza colpa, reietto e condannato in nome di Dio. Per questo, a guarigione avvenuta Gesù lo manderà dai sacerdoti del tempio per l’offerta prescritta come testimonianza per loro.
Alla compassione seguono i gesti: tese la mano, lo toccò. Come il Dio dell’Esodo tendendo la mano manifesta la sua autorità, e la sua compromissione, il tocco è la contaminazione dell’amore.
Colui che nessuno poteva e voleva toccare si sente toccato; il toccarsi, stringere la mano, l’abbraccio, lo sfiorarsi non è soltanto un linguaggio comunicativo ma una esperienza che penetra la pelle per entrare nell’anima. Il tocco è una porta che si apre tra le persone, uno spiraglio che si schiude al mondo, una energia che permette di riprendere la relazione con se stessi e con gli altri.
Annullando la distanza tra il puro e l’impuro, Gesù risana l’uomo nella condivisione; ci mostra che l’uomo è contaminato quando rifiuta la misericordia e si separa dall’altro. Gesù agisce sapendo bene la portata dei suoi gesti e svela la sua libertà di fronte alla religione e ai suoi dettami: se esprime vita e aiuta a vivere da persone libere o se diventa impedimento e schiaccia le persone con precetti ossessivi.
La lebbra scomparve
Gesù ci dice che Dio è interessato alla totalità della persona umana, guarisce nel profondo, ricucendo le relazioni. Non solo si fa carico, ma rigenera l’altro con i suo abbraccio, lo solleva dalla emarginazione dove il sistema sociale e religioso lo aveva relegato.
Così è nella nostra vita quando abbandoniamo l’esteriorità e ruoli precostituiti, quando viviamo sentimenti veri, relazioni autentiche, quando ci mettiamo in gioco, ci lasciamo prendere dalla compassione, quando nel toccarci le relazioni diventano generanti e sanno dare senso alla vita.
Don Luciano Cantini