Il Reddito di cittadinanza persegue due obiettivi diversi, ambiziosi e forse poco compatibili: dare impulso al lavoro, e quindi allo sviluppo economico, e dare una risposta a quanti vivono in condizioni di povertà.
La dotazione finanziaria per l’attuazione del Rdc è certamente importante e potrebbe consentire che il beneficio sia a disposizione di tutti coloro che versano in una condizione di povertà assoluta. È altrettanto positiva l’intenzione di potenziare i Centri per l’impiego, per adeguarli al variegato contesto italiano. Ci sembrano invece troppi i dieci anni di residenza nel nostro paese, di cui due continuativi, necessari perché uno straniero possa accedere al beneficio.
Ci pare che si faccia un passo indietro nella lotta contro la povertà, perché la norma è eccessivamente schiacciata sulla componente lavoristica. Questo diversamente dal Rei che, pur essendo una misura imperfetta e senza coperture adeguate, si basa su una visione multidimensionale della povertà alla quale si risponde con interventi e professionalità multidisciplinari. Il timore è che il lavoro sulla povertà, così faticosamente costruito negli ultimi tre anni anche grazie al contributo dell’Alleanza contro la povertà, diventi inutile. È invece fondamentale che la multidimensionalità sia adeguatamente valorizzata e che non sia messa in discussione l’architettura sociale disegnata dal Rei, che prevede un forte ruolo dei comuni e del terzo settore.
Su Quota 100, l’altra misura centrale del cosiddetto “decretone”, non abbiamo preclusioni. Come Acli abbiamo sempre auspicato una maggiore flessibilità del sistema pensionistico rispetto all’uscita dal mercato del lavoro. Tuttavia non siamo davanti al superamento della legge Fornero, perché si tratta di un ulteriore strumento che aggiunge frammentazione ad un sistema previdenziale già molto segmentato. Peraltro la norma, che ha comunque una durata limitata a 3 anni e che potrebbe costare molto agli italiani in termini di coperture, rischia di essere iniqua penalizzando, oltre che le donne, quanti in generale hanno avuto percorsi lavorativi discontinui, i tanti che pur avendo 62 anni di età non raggiungono i 38 di contributi.
In generale sono molto chiari i motivi per cui vengono adottati questi provvedimenti, ma c’è il dubbio che la velocità con cui vengono attuati e le forti coperture economiche necessarie possano produrre effetti non sempre prevedibili.
Fonte: www.acli.it