Tutte le volte che mi imbatto in queste pagine del Libro della Sapienza mi viene in mente un’espressione di Pascal:”La natura ha delle perfezioni per dimostrare che è l’immagine di Dio e ha dei difetti per mostrare che ne è solo un’immagine”. La bellezza del creato in tutte le sue componenti rimanda alla maestria di chi l’ha voluta in essere e ogni singola creatura, ben organizzata e compaginata in sé, attesta al suo Creatore; allo stesso tempo però il cosmo mostra la sua finitudine e la sua limitatezza, in modo da dimostrare che Dio prevarica sempre anche l’universo infinito.
La realtà incontaminata del nostro ecosistema, il finalismo che presentano varie strutture organiche vegetali, la disposizione armonica degli elementi del cosmo e l’attrattiva generale degli elementi ci descrivono che effettivamente Dio è il “Signore amante della vita” e “il suo spirito incorruttibile è in tutte le cose” e che l’amore non poteva essere che l’unica ragione per cui le cose stesse sono state create.
E’ disdicevole pertanto osservare che, complice anche l’ostinazione dell’uomo all’autolesionismo e alla distruzione di se stesso, la nostra convivenza è minacciata dal fenomeno sempre più preoccupante del riscaldamento globale del pianeta e dello scioglimento delle calotte polari. E’ demoralizzante, non soltanto perché la popolazione è messa in allarme e occorre correre ai ripari per salvare il futuro dell’umanità, ma anche perché si riscontra come la tracotanza dell’uomo tenda a sconvolgere l’ordine naturale delle cose, a manomettere la regolarità dei fenomeni e il solo scombussolamento delle stagioni a cui stiamo assistendo ci descrivono l’assurdità della pretesa di voler interferire sulla natura. Fra le imperfezioni sopra esposte, che limitano la possibilità che le cose esistenti siano l’identità di Dio, vi è l’uomo. O meglio, più che l’uomo il suo affermato libertinaggio e il fraintendimento delle proprie possibilità.
Per chi è credente resta tuttavia una certezza: Dio è al di sopra di tutte le cose e prevarica ogni atteggiamento umano esiziale e pernicioso e per l’appunto se egli è presente in tutto il creato è comunque al di sopra di esso e provvederà secondo i suoi piani nei confronti di coloro che tendono a distruggerlo.
Dio, che è all’origine della vita ed è il Signore di essa, farà in modo che la vita prevalga pur accettando le imperfezioni e gli errori.
Quanto infatti ai nostri sbagli e al peccato, il Signore della vita, pur facendo giustizia e ravvedendoci dal peccato, non può che usare misericordia, mostrandoci la perniciosità stessa del male che ci procacciamo e attendendo che da esso desistiamo. Dio si aspetta soprattutto che “pur rinnegata la malvagità, credano in te o Signore”(Sap 12, 2)
Quanto al peccato Dio tende insomma a rendere partecipe l’uomo che l’alternativa ad esso è solamente il suo amore e nella sua pazienza e misericordia è possibile trovare il bene e la realizzazione che di fatto il peccato ci preclude; Dio ci colloca di fronte al nostro peccato per farcene prendere coscienza confrontando la nostra realtà alla proposta della comunione con sé. Questo è il processo della conversione, con il quale lui stesso tende a rinnovarci aspettando che anche noi collaboriamo alla sua opera accettando radicalmente la trasformazione di noi stessi.
“Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez 33, 2) e ancora una volta in questo si qualifica il Dio della vita che tende a recuperare ciò che è imperfetto, manifestando gioia e approvazione tutte le volte che un solo peccatore si converta e torni a lui.
Nella vita di Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, Dio doveva avere infuso quantomeno una volontà di comparazione di se stesso con la sua Parola, questa intesa come Parola Incarnata, dal momento che egli “cercava di vedere quale fosse (fra tutti) Gesù.”
Nei suoi commenti biblici Mons. Cipriani sottolinea che il fatto che Zaccheo fosse “ricco” non è casuale perché Luca aveva riportato poco prima l’atteggiamento di un altro “ricco” refrattario alla proposta di mutamento che Gesù gli aveva rivolto: il giovane che se n’era andato perché aveva parecchi beni (Lc 18, 18 -23) e le proprietà erano state motivo di rifiuto dell’amorevole proposta del Signore. Per Zaccheo invece, ancora più ricco perché capo dei pubblicani, i beni materiali non sono un intralcio ma piuttosto un incentivo ad andare alla ricerca di chi probabilmente poteva colmare le lacune della sua vita. Dio aveva chiamato Zaccheo alla comunione con sé e ora lui in un certo qual modo voleva corrispondervi mettendosi a cercar Gesù fra la folla a tutti i costi, perfino salendo su un albero considerata la sua bassa statura.
La conversione avviene così in un incontro dove si coniugano l’umiltà di Zaccheo, l’amore di Gesù e la salvezza che apportano la gioia di fronte allo stupore di qualche invidioso.
Un incontro dunque e non una consequenzialità di rimproveri da parte di chi corregge o di nozioni da imparare da parte di chi ha sbagliato; un interazione che richiama la relazione succitata fra il Creatore e la creatura di cui è immagine, sia pure imperfetta.
Un’esperienza che mi fa ricordare la sorprendente, mutua, conversione avvenuta fra Mons. Piero Gelmini e un giovane tossicomane che lo aveva avvicinato nel centro di Roma per chiedergli vicinanza e assistenza morale: “Nun vojo soldi, nun lo vedi che sto mmale?” Superato l’imbarazzo e l’esitazione il Monsignore, fino ad allora insignito di un prestigioso ruolo in Vaticano, accompagna amorevolmente il giovane a casa propria, lo recupera un po’ alla volta alla salute e alla vita nuova e allo stesso tempo diventa egli stesso Don Pierino, fondatore della Comunità Incontro per tossicodipendenti.
Prodigi operati ancora oggi dallo stesso Gesù, che secondo libertà agisce in ogni tempo sullo stesso stile di Zaccheo, per salvare a tutti i costi chi si era perduto e per conclamare la salvezza avvenuta nella sua casa.
Padre Gian Franco Scarpitta