Dell’abrogazione dei decreti Salvini abbiamo sentito parlare per mesi. Finalmente il 5 ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato il cosiddetto Decreto Immigrazione che non ha del tutto cancellato i decreti sicurezza del 2018 e 2019, ma li ha modificati, in alcune parti in modo sostanziale, in altre meno.
“Apprezziamo il cambio di passo sulla questione immigrazione – ha dichiarato il Presidente nazionale delle Acli, Roberto Rossini – è venuto il momento di completare la riforma sul diritto di cittadinanza e, allo stesso tempo, aprire un dibattito che coinvolga tutti i paesi dell’UE per ridiscutere l’accordo di Dublino”.
Le Acli esprimono soddisfazione per le parti sull’accoglienza. Viene ripresa, seppur con la denominazione diversa di “protezione speciale”, quella che era una volta la protezione umanitaria e si vieta l’espulsione e il respingimento nel caso in cui “esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani”. Inoltre, è prevista la convertibilità dei permessi di soggiorno in permessi di lavoro per motivi di calamità, residenza elettiva, acquisto cittadinanza o apolidia, attività sportiva e lavoro artistico, confessione religiosa e assistenza ai minori. “Il fatto che non si possano rimpatriare, eccetto che per motivi di sicurezza nazionale, le persone che hanno una vita strutturata in Italia e che esista la possibilità di convertire permessi di soggiorno temporanei in permessi di lavoro, è un bel risultato” afferma Antonio Russo, Consigliere di Presidenza nazionale Acli con delega all’immigrazione, “che premia l’impegno delle Acli all’interno della Campagna Ero straniero in cui si puntava fortemente al lavoro come veicolo di inclusione dei migranti”.
Sempre sul versante dell’accoglienza, dopo che le funzioni nei Siproimi dei Decreti Salvini erano state ridotte all’osso, prevedendo solo il vitto e l’alloggio, con il “sistema di accoglienza e integrazione” del nuovo decreto si torna al modello SPRAR, un sistema diffuso di accoglienza che reintroduce elementi basilari di inclusione e integrazione come l’assistenza sanitaria, psicologica e sociale, i corsi di lingua italiana, la mediazione culturale, i servizi di tutela legale e di orientamento alla formazione professionale e al lavoro. “Con il forte svuotamento delle funzioni dei centri di accoglienza voluto dal precedente Governo, sono stati cancellati anni di lavoro per una completa inclusione dei migranti, molti dei quali sono finiti per strada, generando un senso di insicurezza per gli stranieri stessi e per gli autoctoni, l’esatto contrario della dicitura sicurezza allora tanto sbandierata” afferma ancora Antonio Russo. “Solo mettendo in piedi ogni possibile misura di inclusione – che non possono essere ridotte al mangiare e al dormire – l’immigrazione diventa un’opportunità di sviluppo per stranieri e italiani.”
Per quanto riguarda il soccorso in mare, a prima vista il decreto appare migliorativo rispetto ai precedenti. In realtà il principio di criminalizzazione delle ong rimane. E’ vero che nel testo il soccorso è definito come obbligo costituzionale e internazionale, ma non si prevede un rafforzamento di salvataggio nel Mediterraneo e il ministro dell’interno, in accordo con il ministro della difesa e dei trasporti, informando il presidente del consiglio, può vietare l’ingresso e il transito in acque italiane a navi non militari. Le maxi multe nei confronti delle navi Ong che operano per il salvataggio in mare e che con il decreto sicurezza bis potevano arrivare fino a un milione di euro sono abolite, ma per quel che attiene le sanzioni si passa dal piano amministrativo a quello penale e le multe, sebbene inferiori, rimangono (da 10mila a 50mila euro). Ciò fa passare l’errato messaggio che l’attività di soccorso possa comunque essere un’attività che favorisce l’immigrazione irregolare, anziché salvare vite umane.
Sul piano della cittadinanza, invece, secondo le Acli, non ci siamo davvero. Dopo che il Decreto Salvini per l’ottenimento della cittadinanza aveva allungato i tempi burocratici da due a quattro anni, in quello nuovo, gli anni sono tre. “Francamente speravamo di tornare al vecchio, se non addirittura a fare un passo avanti, riducendo i tempi ad un anno”, afferma Russo; “il nostro è l’unico Paese in Europa in cui per pronunciarsi sull’ottenimento della cittadinanza si possano impiegare ben 1.460 giorni. In Germania si prevedono in media 200 giorni, meno di un anno”. Occorre, quindi, portare quanto prima a compimento la riforma della L. 91/92 sul diritto di cittadinanza.
In conclusione, si apprezza il cambio di passo sulla questione immigrazione – soprattutto per quel che attiene l’accoglienza – in quanto è cambiata la mano con cui si sono riscritte le norme qui delineate. Rimane da cambiare l’approccio con cui si intende affrontare il tema immigrazione. Infine occorre mutare la prospettiva. Si spera che, dopo aver affrontato la materia sul piano nazionale, il nostro Governo si faccia promotore di un dialogo europeo in cui venga seriamente ridiscusso l’accordo di Dublino e siano redistribuite le responsabilità di tutti i paesi dell’UE nei confronti dei migranti, facendo ognuno la propria parte. Ciò passa attraverso un’equa assegnazione di rifugiati e richiedenti asilo fra i 27 paesi dell’UE e un rifiuto categorico dell’esternalizzazione delle frontiere, un principio molto discutibile che diventa esecrabile se fatto in accordo con paesi che non rispettano i più elementari diritti umani.
Fonte: www.acli.it