Milioni di studenti sono tornati sui banchi di scuola. In qualche caso sono però mancati i banchi: la foto simbolo dei bambini di Genova a ginocchioni per terra a scrivere sulle sedie rischia di equivocare un inizio anno difficile ma non impossibile. Senza dubbio rappresenta la diffusa sensazione che sulla scuola manchi ancora un progetto serio, che si proceda a vista senza pensare troppo al domani: vediamo, vedremo…
Il Presidente Mattarella ha invece detto che la riapertura delle scuole è una prova – insomma una verifica, un compito in classe – per tutta la repubblica. E ha fatto bene a dirlo: potremmo dire che un Paese si riconosce dalla scuola che fa. Ed è proprio così, sia perché la scuola è un fenomeno imponente – 800mila dipendenti per 9 milioni di utenti, per circa 15 milioni di genitori e non si sa quanti altri familiari coinvolti, cui si aggiungono psicologi e pedagogisti e tutto un “indotto” che coinvolge altri milioni di persone – sia perché la scuola è un fenomeno importante, sul piano educativo e sul piano economico.
Sul piano educativo è interessante richiamare ancora il Presidente della Repubblica quando ricorda il dramma di Willy. È evidente che in questo Paese esistono “scuole” di violenza dove la cultura è quella drammaticamente narrata anche in alcune serie televisive, in cui le auto e le case lussuose, le donne oggetto, gli anelli giganti e gli stili di vita danarosi e muscolari sono tutti giocati su un’etica prevaricatrice e ridotta ad una logica per cui si rispettano solo pochi legami familiari e poi ci si adatta a vivere in un mondo dove la legge ordinaria è un’ipocrita finzione, dato che in realtà esiste solo la legge della giungla. Ecco, contro una tendenza così la scuola può fare molto, perché educa alla libertà e continua a formare cittadini liberi e consapevoli, magari anche curiosi e appassionati, certamente non banali. Il male, come sappiamo, ha molto a che fare con la banalità.
Sul piano economico è utile richiamare studi di istituzioni e valutatori (es. Brookings) per cui un quadrimestre perso può incidere fino a 1 punto l’anno di Pil per i prossimi 40 anni e fino a 5 punti il reddito del singolo lavoratore. Non stiamo parlando di poco. Abbiamo spesso dimenticato il legame forte tra la formazione e l’economia. Il lavoro dipende anche dalle scelte dei corsi di studio, dalle predisposizioni individuali che si trasformano in competenze utili alla collettività. Dall’istruzione e dalla formazione passa lo sviluppo economico del Paese: non solo la crescita, ma lo sviluppo proprio.
C’è un punto di sintesi, tra il piano educativo e il piano economico, ed è l’investimento in capitale umano. L’uomo non è un contenitore vuoto da riempire, ma una storia da collocare nei destini incrociati di tante altre persone e di un contesto di vita e di lavoro. Bisogna formare bene, se si vuole che la collettività lavori bene: investire in capitale umano è un “buon debito”, per usare le parole di Mario Draghi. Per questo dobbiamo chiedere al ministro Azzolina di usare quest’anno scolastico – così precario – proprio per progettare come rafforzare il capitale umano di questo Paese: gli uomini e le donne che lo governeranno e che lo costruiranno nella quotidianità dei prossimi anni. Una scuola che non immagina il futuro che serve diventa serva degli accadimenti e degli imprevisti.
E dunque avanti, senza commettere l’errore di progettare una nuova scuola con i soli professionisti della scuola: la scuola è una parte del Paese, ma riguarda il tutto e tutti.
Fonte: www.acli.it