Gesù venne da Nàzaret di Galilea
Marco non racconta nulla della nascita di Gesù, niente che ricordi l’infanzia; dice semplicemente che Gesù viene da Nàzaret di Galilea, un paese sconosciuto alla storia biblica, in una regione periferica e marginale: Gesù non rispecchia nessun parametro consolidato dalla tradizione ebraica circa il Messia.
Per Marco l’incarnazione è raccontata al Giordano, all’inizio della vita pubblica. Il taglio liturgico del testo evangelico ci ha privato della descrizione della folla: Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati (Mc 1,5). Prima ancora del battesimo nel Giordano è il battesimo nella folla di peccatori che ci rivela l’umanità di Cristo e la sua missione tra gli uomini. Di lui non è detto nulla di particolare, Giovanni lo battezza come gli altri senza nulla dire: Gesù è uno come gli altri.
Fu battezzato
In greco il verbo baptizō significa immergere, anche nel senso di affondare in acqua come per una nave.
L’immagine che Marco ci regala della “immersione” disturba non poco l’abitudine di far “emergere” Gesù dalla folla; lo immaginiamo e lo abbiamo raffigurato diverso, negli abiti, nel volto, negli atteggiamenti. Anche le icone e le pitture del battesimo di Gesù lo raffigurano solo, senza folla, con gli angeli che lo servono. Marco, invece, lo nasconde tra la folla come prima lo aveva nascosto a Nàzaret.
Gesù, dunque, va cercato nell’anonimato di una folla, con il volto di chiunque.
La straordinarietà del mistero della incarnazione è proprio nella ordinarietà della sua manifestazione, Gesù è battezzato nella storia degli uomini e ne raggiunge il fondo, la percorre controcorrente nella rottura di schemi consolidati della tradizione religiosa e del convivere sociale: si avvicina ai lebbrosi (Mc 1,40), mangia con i peccatori ed entra nelle loro case (Mc 2,15), trasgredisce le regole (Mc 3,4), snobba le consuetudini (Mc 7,5) supera le convenzioni sociali (Mc 10,14), predilige i poveri (Mc 10,23), disdegna i potenti (Mc 10,42).
Il modo di pensare e di agire di Dio non è quello degli uomini, lo ricorda Isaia: Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri (Is 55,9).
E, subito, uscendo dall’acqua
Marco usa molto l’espressione “subito” (41 volte); probabilmente è una reminiscienza della tradizione orale per collegare consequenzialmente nel tempo due avvenimenti, ma anche per legarli trasmettendo emotivamente una urgenza; qui è la prontezza dell’azione di Dio che subito manifesta il suo compiacimento.
Ci troviamo così proiettati in un movimento verticale tra Gesù che sale e lo Spirito che scende: l’amore del Padre trova corrispondenza nel dono del Figlio. Sembra che Dio non aspettasse altro, gonfio d’amore squarcia il cielo per raggiungere il Figlio amato. È lo stesso amore che fa di Gesù Cristo la Buona Notizia (vangelo Mc 1,1), che muove i suoi passi verso Gerusalemme fino alla Croce quando il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo (Mc 15,38): il Divino ha fatto irruzione nell’umano definitivamente.
Tu sei il Figlio mio, l’amato
Marco racconta questo episodio come una esperienza forte di Gesù: è lui che vede e ascolta.
Il Padre manifesta a lui il suo compiacimento, non per quello che Gesù ha fatto, si è solo messo in fila con gli altri, ma per quello che è, per la sua immersione nella condizione umana. Il compiacimento del Padre spinge Gesù verso una storia che è ancora tutta da vivere. Il compiacimento di Dio è tutto nella prospettiva, Dio si compiace nel Figlio per l’Amore che può riversare in lui ed attraverso di lui su tutta l’umanità.
Dio guarda al futuro, a quello del Figlio come al nostro. Dio non si compiace di noi se siamo buoni o bravi, se abbiamo accumulato opere buone o riempito la nostra vita di devozioni, Dio non ci guarda al passato, ma guarda all’amore che può riversare in noi, gratuitamente, e che crescerà, nonostante le difficoltà che dovremo superare, la fatica che ci frena, le fragilità ed il peccato. Perché attraverso di noi, il suo amore, si riverberi nell’umanità in cui siamo immersi.