Dio nella nostra carne; è il messaggio, la verità del Natale (come abbiamo sottolineato in questo Natale). In Gesù, fatto uomo, Dio condivide la nostra condizione umana, e quindi anche la nostra esperienza familiare. La famiglia svolge un ruolo essenziale: nella famiglia si nasce, si forma la persona, si sperimenta la vita come relazione.
Dai testi biblici di oggi, che presentano ben di più di una pia meditazione sulla famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, cogliamo tre messaggi.
Il primo è la FEDELTA’. Innanzi tutto la fedeltà di Dio alle sue promesse. Dio adempie la promessa di dare un figlio a Sara e quindi una discendenza numerosa come le stelle del cielo ad Abramo (I lett.: Gn 15,1-6; 21,1-3). Come abbiamo ripetuto nel ritornello del salmo responsoriale: “Il Signore è fedele al suo patto”. Anche Simeone e Anna (vangelo: Lc 2,22-40) sono testimoni della fedeltà di Dio: essi vedono colmata, nel bambino portato nel tempio, l’attesa del Messia promesso .
Alla fedeltà di Dio si risponde prima di tutto con la fede, che consiste nel contare, fare affidamento sull’amore fedele di Dio che rimane per sempre (vedi II lett.: Eb 11,8 passim).
E poi con relazioni in cui si rifletta la stessa immagine del Dio amore fedele e gratuito. Ad iniziare dalla famiglia.
Siamo indotti a ritenere l’altro/a, anche nella coppia, in funzione di sé, al servizio della affermazione di sé. Ma nelle relazioni vere, soprattutto familiari, si dovrebbe mettere in gioco la vita per un comune progetto, da costruire con pazienza e tenacia. Non si dovrebbe cedere al “tutto e subito”: solo l’impegno, la fatica, la fedeltà a tutta prova aprono a prospettive davvero gratificanti. Anche le difficoltà, se decisi a rimanere fedeli, consentono un salto di qualità nella capacità di porsi in relazione.
Il secondo messaggio: la TRASMISSIONE. Gesù è vero uomo: cresce, sì certo cresce (“cresceva e si fortificava”, dice il vangelo di oggi), in un ambiente familiare, sociale culturale, religioso particolare, e impara. I genitori lo inseriscono in questo ambiente, il loro. Notiamo come gli fanno vivere ciò che sono e ciò che praticano: lo portano al tempio in osservanza della legge di Mosè, “come è scritto nella legge del Signore”, lo offrono. Gli trasmettono i valori in cui credono, in particolare quella fedeltà alla volontà del Signore che Gesù avrebbe vissuto e praticato con totale decisione per tutta la sua esistenza. All’inizio l’ha imparata da loro!
E’ responsabilità dei genitori, degli adulti, della comunità cristiana trasmettere ai figli, ai più piccoli ciò in cui crediamo, le cose belle, valide che abbiamo scoperto e vissuto, in particolare, la memoria di Gesù. Gesù, sull’esempio di Simeone, da accogliere tra le braccia prima, per poi presentarlo in modo che gli occhi degli altri, dei figli, in primis, vedano in Lui la salvezza, la luce delle genti.
E dovremmo trasmettere anche il senso dell’attesa: “Simeone aspettava la consolazione di Israele”. Senza attendere, senza speranza non si educa, non si cresce, non si fa crescere.
E il terzo messaggio: l’INCONTRO TRA GENERAZIONI.
Scrive la comunità di Bose: ”Sono i genitori che fanno un figlio, ma poi è il figlio che fa i genitori, che plasma la loro vita, li conduce a nuova conoscenza di sé. Il figlio, questa apparizione dell’altro nella vita di coppia, è mistero e rivelazione. I genitori di Gesù sono stupiti di ciò che si dice di lui: il figlio, e non solo il Figlio che è Gesù, il Cristo, ma ogni figlio è segno della visita dell’Altro e della sua benedizione. E’ dunque appello al ringraziamento e alla lode”.
Di Simeone che accoglie tra le braccia il piccolo Gesù, un padre della Chiesa dice: “Il bambino portava l’anziano”.
Questo per voi nonni. Bello il bambino che portava l’anziano! L’aurora e il tramonto si congiungono, si completano: quando i nonni si prendono cura del nipotino è anche il piccolo che sorregge l’anziano, lo porta, vince la sua solitudine, lo riconcilia con la vita, con la speranza.
Ma attenzione alla figura straordinaria di questi due anziani. Simeone ed Anna sono due vecchi, senza famiglia. Il carico degli anni e la solitudine non li porta a chiudersi, a tirare i remi in barca, a guardare indietro, a concentrarsi sui propri acciacchi, a rimpiangere il passato (ai miei tempi!).
Simeone guarda con serenità perfino alla morte: “Ora puoi lasciare che il tuo servo vada in pace”. Ma soprattutto i due anziani guardano avanti, sanno attendere e sperare per gli altri, per tutti, per l’umanità tempi in cui Dio visiterà il suo popolo.
Diceva d. Milani che bisogna “indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso”. Indovinarle e sperarle per loro; e provare a prepararle, a costruirle insieme a loro.
don Aldo Celli