È l’inizio della fine.
Non lo sa Gesù, tenero, ma la moltiplicazione dei pani e dei pesci segna il declino della sua popolarità. Ma anche, come vedremo più avanti, motiverà la decisione, da parte sua, di cambiare strategia pastorale: non si rivolgerà più alle folle ma al gruppo dei discepoli, agli intimi.
Il Maestro pensava, sperava, che la gente fosse pronta al salto di qualità. Così come sperava che i suoi avessero superato la più impegnativa delle prove, quella della compassione. Entrambi falliranno.
La folla, manipolando e stravolgendo il chiaro messaggio sotteso al miracolo.
I discepoli che, nel vangelo di Marco, vogliono che ciascuno se ne torni casa.
Gesù, davanti alla folla, davanti alla missione impossibile di trovare pane a sufficienza per tutti, davanti alla pressione dei problemi concreti e reali che anche noi dobbiamo affrontare, propone la soluzione: imitare il gesto ingenuo e profetico dell’adolescente che mette in gioco la merenda.
Il miracolo della condivisione, del mettersi in gioco senza attendere che altri facciano al posto nostro. La gente ha capito l’esatto contrario: ecco un Dio che ci sfama gratuitamente.
Povero Gesù.
Poveri noi.
Vieni via da qui
L’impatto emotivo su Gesù è enorme: decide di andarsene, di fuggire, la situazione è fuori controllo.
Vogliono farlo re: chi non voterebbe un partito che, invece di pretendere delle tasse, ci regalasse del denaro? La delusione del Signore è quasi palpabile ma né la folla, né i discepoli hanno colto la pesantezza della situazione; anzi, sembra quasi che il Nazareno si faccia desiderare, che cerchi complimenti. Lo cercano, lo raggiungono, trovano un Gesù riflessivo, duro, la prima affermazione è una staffilata.
Voi non mi cercate per me o per le mie parole, ma perché avete la pancia piena.
Doccia fredda.
Parole dirette e vere, verità provata, talmente evidente da essere imbarazzante.
Istintivamente non cerchiamo Dio perché ci indichi una strada per crescere, per capire, per amare, ma perché ci risolva i problemi. Senza faticare, se possibile.
Anzi; per molti Dio esiste proprio se risolve i miei guai. Se permangono i miei problemi, Dio non esiste.
Siamo noi a stabilire l’utilità di Dio, a cosa ci serve la sua presenza, qual è il suo ruolo.
Siamo ridicoli e arroganti, preferiamo una visione meschina di Dio, servo delle nostre pretese!
È grande il nostro Dio, onnipotente. Si fa servo, sì, ma per prenderci per mani e portarci alla verità delle cose e di noi stessi, per spingerci a fare la sua volontà di bene, non per piegare la sua volontà ai nostri capricci.
È vero: cerchiamo Dio per averne un tornaconto. Ma possiamo convertirci.
Gesù non sta rinchiuso nella sua delusione, non fa l’imbronciato: offre una via d’uscita alla folla. E a noi.
Cercate il pane vero, quello che sazia.
Esiste, quindi, un pane che sazia e uno che lascia la fame.
Fami
L’essere umano è divorato dalla fame, dal desiderio.
Mi piace il termine desiderio perché ha a che fare con le stelle (de-sidera). Solo se guardiamo il alto, altrove, solo se indirizziamo la fame verso una pienezza possiamo placarla.
La fame del successo, di denaro, di approvazione, di gratificazione, anche se soddisfatta, ci lascia un vuoto nello stomaco, sembra saziare, ma non colma.
Meglio seguire la fame interiore, quella di senso, quella della verità profonda, del giudizio sul mondo e sulla storia che Dio solo può dare.
Gesù spiega: il pane che sazia, solo io ve lo posso dare. Pretende di essere l’unico che sazia, l’unico che colma.
Godiamoci le gioie legittime che la vita ci offre: gli affetti, le soddisfazioni, le vacanze, ben sapendo che la nostra pienezza è altrove, è in Dio.
La folla replica: cosa dobbiamo fare?
Fare, sempre fare. Fare o non fare, a questo abbiamo ridotto la fede, a morale.
Gesù sa che prima del fare c’è l’essere e il credere.
Ecco cosa “fare”: “credere” in colui che il Padre ha inviato.
La folla chiede: quale segno fai perché possiamo crederti?
Quale segno? Prego? Come? Ha appena sfamato cinquemila persone!
Di quanti segni necessitiamo per credere?
Perché continuiamo a ricattare Dio?
Manna
Si aspettano la manna, ovvio. Si aspettano che continui quella grazia.
Mosè sì che era un grande, li ha sfamati nel deserto.
Per quarant’anni. Meglio di un vitalizio, in questi tempi di crisi.
Gesù puntualizza, non è Mosè che vi ha dato la manna, ma il Dio di Mosè. Lo stesso che ha mandato il pane che sazia il cuore, non la pancia, il pane della vita eterna che dona vita ad un mondo altrimenti esangue ed inanimato.
La folla è stranita, e chiede: dacci questo pane.
Non è una preghiera autentica, la loro, non converte il loro cuore, non sono ancora disposti a mettersi in gioco, neanche un po’. Chiedono, ma per avere ancora, senza cambiare, senza convertirsi.
Gesù replica: è lui il pane di vita, l’unico che sazia.
Non cerchiamo Dio perché ci esaudisca, perché ci risolva i guai in cui ci mettiamo.
Non cerchiamo di dissetarci all’acqua di cisterne screpolate.
Gesù dice di essere l’unico che sazia la fame interiore.
Che abbia ragione?
Paolo Curtaz