Il primo gennaio 2018 il Rei sarà operativo. La misura di contrasto alla povertà subentra al Sia. Uno studio dell’Allenza contro la povertà in Italia ne ha valutato l’efficacia. Per identificare gli elementi utili a rafforzare i processi di implementazione del Rei
Il Sostegno per l’Inclusione Attiva, meglio conosciuto come Sia, è stata una misura di contrasto alla povertà che ha di fatto aperto le porte al Rei, il Reddito d’inclusione, uno strumento di sostegno con una portata maggiore del precedente. In previsione dell’operatività della misura, che avverrà dal gennaio 2018, l’Alleanza contro la povertà in Italia ha avviato una ricerca per identificare gli elementi utili per rafforzarne i processi di implementazione.
Due, secondo lo studio, paiono i fattori di contesto o prerequisiti essenziali per il buon funzionamento. Il primo riguarda le azioni di rafforzamento dell’infrastruttura locale e, in primis, il rafforzamento dell’organico, delle risorse umane e delle competenze tecnico-professionali deputate a gestire i processi attuativi. Il secondo prerequisito riguarda i modelli di governance: le pratiche di integrazione tra politiche settoriali, le sinergie tra attori della PA, del terzo settore e del profit e la coerenza tra azioni promosse a diversi livelli di governo (Stato, regioni, comuni, ATS).
La sfida che l’Unione Europea indica è l’integrazione degli schemi di reddito minimo con le politiche attive del lavoro. L’integrazione è necessaria per accompagnare i beneficiari da condizioni di esclusione sociale verso la vita attiva, evitando i rischi connessi a condizionalità che obbligano ad accettare lavori poco remunerati (working poor). Il sostegno finanziario va inoltre combinato con un accesso più facile ai servizi sociali e pubblici come l’alloggio, i servizi di cura per la prima infanzia, l’istruzione e l’assistenza sanitaria. In altre parole c’è bisogno che il sistema dei servizi di altre filiere (lavoro, formazione professionale, istruzione, sanità) faccia la loro parte. Il ReI, come tutti i regimi di reddito minimo, dovrebbe essere attuato e valutato nel contesto globale dei servizi di welfare.
Pertanto, in sintesi, le principali raccomandazioni che emergono dallo studio sono le seguenti sei, che interpellano i diversi attori e livelli di governo.
1. Rafforzare le strategie di implementazione del Rei. Si auspica un rafforzamento del ruolo di programmazione delle Regioni in quanto una misura di integrazione al reddito può produrre effetti di uscita dai meccanismi della trappola della povertà unicamente se utilizzata in sinergia con altre misure;
2. Completare la governance. Emerge un problema legato al ruolo debole del terzo settore a livello di Ats e a livello regionale. Occorre prevedere pratiche congiunte di programmazione e verifica tra diversi dipartimenti regionali (sociale, lavoro, istruzione, sanità);
3. Migliorare l’accountability e la trasparenza. Occorre migliorare il rilascio periodico da parte di Inps e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di dati utilizzabili da amministrazioni pubbliche, attori del terzo settore, dalla comunità dei ricercatori, dai media per alimentare un dibattito pubblico informato (es: dati sulla platea di beneficiari previsti, dati periodici disaggregati a livello comunale su domande pervenute e nuclei che percepiscono la misura);
4. Migliorare i modelli di presa in carico. Sarebbe opportuno integrare le indicazioni operative esistenti, che sottendono le linee guida sul Sia. Occorre integrare il focus del servizio sociale dall’intervento sulla singola presa in carico alla promozione di opportunità a livello di comunità e concentrare le risorse professionali sui casi più fragili, che maggiormente possono beneficiare di una presa in carico intensiva.
5. Riporre al centro la povertà minorile. La povertà minorile e giovanile, in particolare in alcuni contesti, e le strategie di rottura della trappola della povertà vanno rilette tenendo presente tre elementi. Il primo è lo scambio di pratiche su soluzioni e modelli innovativi adatti ai diversi contesti. Il secondo è costituito dalle possibili integrazioni con altri benefit e servizi utili alla presa di nuclei in cui i figli. Il terzo concerne l’attenzione ai minori 0-6 anni, agli adolescenti e ai giovani di oltre 16 anni (adempimento dell’obbligo di istruzione), i quali esprimono bisogni differenziati;
6. Rafforzare le competenze. Occorre prevedere soluzioni multiple (aggiornamento professionale, formazione sul lavoro, seminari congiunti, e-learning, ricerca-azione…) per favorire la crescita di competenze e lo scambio di pratiche: sono abilità che non si improvvisano.
Lo studio verrà presentato l’8 novembre a Roma, alle ore 14.00, presso la Sala dell’Istituto Santa Maria in Aquiro (Piazza Capranica 72).
Fonte: www.acli.it