Dedizione della Basilica Lateranense

Dei nostri templi magnifici non resterà pietra su pietra, ma noi resteremo casa di Dio per sempre. Meglio che crollino tutte le chiese e i templi, piuttosto che cada un solo uomo.

Dedicazione della cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano, radice di comunione da un angolo all’altro della terra. Non celebriamo quindi un tempio di pietre, ma la casa di un Dio che per sua dimora ha scelto il libero vento, si è fatto dell’uomo la sua casa, della terra intera il suo cielo.

Nel Vangelo che ci viene proposto incontriamo il Gesù che non ti aspetti, con una frusta in mano. E’ il maestro appassionato, che usa gesti e parole di combattiva tenerezza, mai passivo e mai disamorato, che non si rassegna alle cose come stanno: lui combatte con noi far fiorire l’uomo e il mondo.

Probabilmente già un’ora dopo i mercanti, recuperate colombe e monete, avevano rioccupato le loro posizioni.

Tutto come prima, allora? No, il gesto di Gesù è arrivato fino a noi, profezia che scuote i custodi dei templi, e anche me, dal rischio di fare mercato della fede.

Gesù caccia i mercanti perché la fede è diventata oggetto di compravendita. I furbi la usano per guadagnarci, i pii per ingraziarsi il Potente: io ti do orazioni, tu mi dai grazie; io ti do sacrifici, tu mi dai salvezza.

Gesù caccia dal cortile gli animali dei sacrifici cruenti, anticipando il capovolgimento che porterà con la croce: Dio non chiede più sacrifici a noi, ma sacrifica se stesso per noi. Non pretende nulla, dona tutto.

Fuori i mercanti, allora. La Chiesa diventerà bella e santa non se accresce il patrimonio e i mezzi economici, ma se compie le due azioni di Gesù nel cortile del tempio: fuori i mercanti, dentro i poveri. Se si farà «Chiesa con il grembiule» (Tonino Bello).

Gesù ha molto amato il tempio di Gerusalemme, lo ha ammirato, si è indignato, ha anche pianto per la sua distruzione imminente. Lo ha chiamato «casa del Padre» e lo ha contestato: distruggete questo tempio e io in tre giorni lo farò risorgere.

Egli parlava del tempio del suo corpo. Il tempio di Dio siamo noi, è la carne dell’uomo. Tutto il resto è decorativo. Tempio santo di Dio è il povero, davanti al quale «dovremmo toglierci i calzari» come Mosè davanti al roveto ardente «perché è terra santa», dimora di Dio.

Dei nostri templi magnifici non resterà pietra su pietra, ma noi resteremo casa di Dio per sempre: c’è grazia e presenza di Dio in ogni creatura. Passiamo allora dalla grazia dei muri alla grazia e alla santità dei volti. Meglio che crollino tutte le chiese e i templi, piuttosto che cada un solo uomo.

Gesù non si rivolge ai custodi dei templi, ma a ciascuno: la casa ultima del Padre sei tu. Casa ingombra di pecore e buoi, di denari e di colombe che non lascia più trasparire Dio, ma incamminata a diventare di nuovo trasparenza e fessura di Dio. Che è ancora e sempre in viaggio: il misericordioso senza tempio cerca un tempio, il Dio che non ha casa la cerca proprio in me. Se lo accogliamo, solo allora tutto il mondo sarà cielo, cielo di un solo Dio.

Padre Ermes Ronchi