C’è assembramento oggi nelle nostre chiese, forse come mai durante l’anno. Ciascuno reca fra le mani palme intrecciate e decorate dalle molteplici forme e dimensioni, secondo le usanze di ciascun luogo, oppure si brandiscono rami di ulivo. Le une e gli altri verranno aspersi dall’acqua benedetta dopo che il sacerdote ha recitato la preghiera di benedizione in un apposito spazio. Il clima è quello della festa e della rilassatezza. La stessa letizia che vi è alle porte di Gerusalemme, quando Gesù fa’ ingresso in groppa a un’umilissima cavalcatura, secondo la profezia di Zaccaria: Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. “(Zc 9, 9).
Con estrema umiltà Gesù entrava nella famosa Città fra le ovazioni della folla, ben sapendo che tanto plauso e ammirazione da parte di un popolo che lo esalta agitando al suo incedere rami di palme e distendendo i mantelli, come si addice ai personaggi illustri, è destinato a durare poco tempo.
La gente infatti esalta nel Signore la figura del Re e Signore della gloria famoso per i miracoli e i segni della prodigalità del Padre; la palma sbandierata al suo passaggio nelle usanze festose del popolo d’Israele simboleggia la fede (come nella festa delle Capanne) e pertanto si può anche affermare che nel Re si riconosce anche il Signore della gloria. Tripudio e festa, aria di gioia e di soddisfazione interessano quindi le vie che dalla periferia di Gerusalemme conducono verso la “città vecchia” e Gesù viene onorato alla pari di un Imperatore o di un generale che ritorna in sede con il suo esercito dopo una vittoria militare. Ciononostante, Gesù fa il suo ingresso senza autoesaltarsi e senza stimare più di tanto il grande consenso che gli viene tributato tutt’intorno: sa benissimo che la strada che sta percorrendo è la stessa che lo condurrà prima nel luogo della consumazione della cena di commiato con i suoi discepoli, poi nel giardino degli alberi di ulivo dove si intratterrà in preghiera con angoscia, sgomento per la sua prossima sorte, quindi fra le mani dei suoi assalitori che lo condurranno al processo e alla morte infame sulla croce. Dal tripudio al vilipendio della sua persona. Dall’esaltazione al deprezzamento.
Aveva respinto le obiezioni di Pietro, nelle quali riscontrava una sottile astuzia dissuasiva da parte di Satana; aveva ancor prima preannunciato che a Gerusalemme avrebbe ricevuto un “battesimo” e che avrebbe dato il “segno di Giona” a quella generazione ostinata e ottusa che si convinceva solo a forza di segni tangibili esteriori. Adesso realizza con umiltà e rassegnazione quanto aveva indicato sempre orientato sulla volontà del Padre e sui piani che Questi stava compiendo per la salvezza di tutti gli uomini. Come un atomo è composto di protoni e neutroni attorno ai quali gravitano gli elettroni, così la vita è un nucleo composto da gioia e dolore, da positività e negatività, non senza che vi orbitino gli elettroni dell’amore e dell’umiltà. Il bello e il cattivo tempo sono sintetizzati dall’amore, senza il quale la vita non potrebbe sussistere. E appunto l’amore è l’elemento caratterizzante che pervade queste ore liete, gioiose e poi umilianti e dolorose che interessano Gesù. L’amore con cui il Padre ha impostato un progetto sin dall’eternità, per il quale il suo Figlio si è fatto carne e grazie al quale lo Spirito Santo da’ al Figlio forza, coraggio e passione perché questo disegno di amore si porti a compimento e abbia un riverbero significativo fino ai nostri giorni.
Siamo invitati a immedesimarci negli ultimi giorni terreni di Gesù, ad assumerli fino in fondo in ogni situazione che la vita ci riserva, ma soprattutto a considerare che la vita non sarebbe tale se l’amore non ci calmasse negli eccessi della gioia e non ci risollevasse nei patemi del dolore. L’amore infatti procura modestia quando siamo tentati di autoaffermazione; garantisce sollievo e fiducia e rinvigorisce nelle occasione di abbandono e di smarrimento.
L’amore che ha origine solo in Dio e il cui diffondersi si appella solo alla nostra volontà.
Padre Gian Franco Scarpitta