Celebriamo oggi la domenica “in albis deponendis”, il giorno festivo in cui, ai primordi della
Chiesa, i neofiti, battezzati otto giorni prima, la notte di Pasqua, deponevano la veste bianca che
avevano rivestito uscendo dall’acqua del fonte battesimale.
Personalmente non condivido la decisione di cambiare il titolo della solennità odierna con
“Domenica della divina misericordia”…soprattutto per il motivo che ispirò il Santo Pontefice
Giovanni Paolo II a operare questa sostituzione… De gustibus, direte voi… Sono convinto che non
sia solo questione di gusti personali: cambiare il titolo della seconda domenica di Pasqua, questo sì
che è stato dettato dal gusto personale, dalla devozione personale di chi lo ha promosso…
Ma ora, il Vangelo!
La scena si svolge nel cenacolo, la sera della resurrezione. Gesù entra a porte chiuse, saluta gli
Undici augurando loro la pace, quindi mostra le ferite dei chiodi, dona loro lo Spirito Santo e li
abilita a perdonare i peccati. Si tratta di una vera Pentecoste! Ormai lo sappiamo, secondo il
suo progetto teologico, il quarto Evangelista concepisce la Pentecoste dello Spirito come il dono
che Cristo in persona fa del suo ultimo respiro da morente, e del primo (respiro) da risorto, sulla
Chiesa nascente rappresentata al Calvario da Maria, sua Madre, e da Giovanni, l’amico del Signore,
e ora dagli Undici, asserragliati nel cenacolo per paura dei Giudei.
Opss! Mi accorgo di aver fatto un errore gravissimo: i presenti nel cenacolo non sono Undici, ma
Dieci!! Manca Tommaso… e questo è il motivo per il quale Giovanni racconta la vicenda.
“Mal gliene incolse”, commenterebbe l’immortal Poeta. (Tommaso) ha perduto l’occasione di
ricevere la Confermazione della fede! Certo, gli Apostoli avrebbero ricevuto lo Spirito Santo anche
in altre occasioni; prima fra tutte, durante l’ultima cena, quando il Maestro istituì il sacramento del
Suo corpo e del Suo sangue e tutti ne mangiarono e ne bevvero – Giuda compreso -. Ma Giovanni
non inserisce l’eucaristia nella famosa cena… e conosciamo il perché.
Ed ecco il passaggio fatidico: all’annuncio del gruppo “Abbiamo visto il Signore!”, Tommaso
reagisce: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei
chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo.”.
In altre parole, (per Tommaso) la fede non ha valore in sé, anzi, non ha valore affatto! quello che
conta è la dimostrazione scientifica, meglio ancora, l’evidenza dei fatti, vedere con gli occhi del
corpo, toccare con le dita, con la mano, sentire con le orecchie,…
In pratica l’uomo fa valere la logica umana, le regole del gioco che valgono dai tetti in giù, nella
realtà intrafattuale, dove tutto ciò che capita si può e si deve spiegare, si può e si deve dimostrare,
provare; ripeto, toccare con mano, vedere e sentire… Quasi che tutto ciò che è reale, lo si potesse
cogliere con i sensi esterni e la ragione: un sentimento in quanto tale si può toccare? vedere?
Innamorarsi, si può spiegare a parole? Il pensiero, si può toccare? vedere? La convinzione
profonda che conduce ad una scelta di vita, si può spiegare con parole?…
Gli effetti forse sì; ma anche di quelli dubito che si possa dare spiegazione stringente e irrefutabile.
“Se non vedo non credo!”: non ha senso porre la questione del credere, quando si ha l’evidenza
dei fatti…. Al contrario, la questione si pone eccome, quando manca del tutto l’evidenza!
Altro che “credo solo se vedo”! la relazione (tra vedere e credere) è proprio l’opposto: “credo
proprio perché non vedo”!
Povero Tommaso! suo malgrado, e nostro malgrado, il mistero della Risurrezione non è un
fenomeno che si possa annoverare tra le realtà intrafattuali, o, dai tetti in giù.
La Risurrezione di Cristo è un evento soprannaturale! Come tale esige di essere, per così dire,
vagliato con uno strumento diverso dai (nostri) cinque sensi e (solo) in base alla logica; e questo
strumento, per l’appunto, è la fede.
Nel caso della Risurrezione, è necessario scegliere! Scordiamoci l’et et…
Vale invece l’aut aut!…o la scienza, o la fede!
Intendiamoci: la risurrezione di Cristo, così come ogni altro articolo di fede contenuto nel Credo
è assolutamente ragionevole. Ma fra “ragionevole” e “razionale” c’è un po’ di differenza!
Dovremmo dunque sospettare che gli Apostoli abbiano avuto un miraggio, un’allucinazione?
In altre parole, che la risurrezione non sia realmente avvenuta? Nossignore!!
Mi permetto di sottolineare la questione, perché proprio questo problema – credere come vero
qualcosa che non si può spiegare con la ragione – è il fondamento dell’ateismo moderno.
In supersintesi: con la nascita delle scienze empiriche, quella branca del sapere fondata appunto
sulla dimostrazione dei fenomeni attraverso la sperimentazione – siamo nel Cinquecento -, i primi
scienziati si trovarono di fronte alla questione dell’esistenza di Dio: il primo passaggio fu
ammetterne l’esistenza, ancorché non dimostrabile attraverso gli strumenti empirici; il secondo
passo – fatale! – fu quello di rifiutarne addirittura l’esistenza, proprio perché non dimostrabile
attraverso gli strumenti empirici, ritenuti pressoché infallibili, pertanto assoluti. Dichiaravano (i
primi scienziati): ciò che non si può porre su un vetrino, e osservare al microscopio, semplicemente
non esiste.
Ecco, ora sapete quali problematiche sono scaturite dall’atteggiamento iniziale di Tommaso.
Ma, certo, voi già lo sapevate…
Tempo scaduto!
Domenica prossima ci aspetta un’altra descrizione della prima apparizione agli Undici del Risorto,
questa volta secondo il Vangelo di Luca, assai diversa nella narrazione dei fatti, ma non nella
sostanza…
fr. Massimo Rossi