Al termine di questa guerra, contro un nemico invisibile e insidioso, dovremo ridare agli operatori sanitari il giusto riconoscimento, che questi anni di tagli hanno di fatto negato. Dovremo ridire che la patria si difende anche così, servendo le persone. Ma in questo servizio ricorderemo anche realtà non solo sanitarie. Certo, il sanitario è il primo fronte, il più esposto. Ma nelle linee appena dietro lavorano operatori che non hanno a che fare con situazioni meno facili. Lo fanno perché “prima le persone” non è solo uno slogan, ma è un modo di riordinare le priorità, e far precedere la realtà all’idea. E allora ecco chi, nelle cooperative e negli enti territoriali, continua ad assistere gli anziani, i disabili: i disabili adulti collocati in famiglie di anziani, magari contagiati. E poi ancora l’assistenza a chi ha una malattia mentale o una dipendenza, agli stranieri e ai minori, ai senza dimora: stare a casa, per un senza dimora, non è come dirlo. Ci sono vere e proprie invenzioni, come le video-chiamate domiciliari per aiutare chi è solo. Ci sono operatori chiusi volontariamente in quarantena per sostenere gli utenti, con gli strumenti che ci sono, che sono pochi, perché mancano adeguati DPI. Lavorano a loro rischio e pericolo. E pure a rischio di diffide proprio perché mancano questi strumenti.
Il rischio è di non poter più garantire servizi così essenziali e lasciare che le persone fragili rimangano sole con i loro bisogni. Le associazioni delle cooperative, gli assistenti sociali e gli enti di terzo settore tengono desta l’attenzione anche su questa parte di mondo che non appare, che è più nascosta. Anche la Chiesa, attraverso un comunicato, ne ha preso atto: oltre ai presidi sanitari ci sono quelli socio-sanitari, sociali, educativi e caritativi, che rappresentano un patrimonio inestimabile di cura a chi è più fragile e vulnerabile. Questi servizi integrano il servizio sanitario: a volte sono pre a volte post ricovero. Come per il fronte sanitario, occorrerà – a guerra finita – fare una valutazione sul perché il welfare locale sia sotto-finanziato per la gestione ordinaria, figuriamoci per quella straordinaria. Vediamo se c’è ancora qualcuno che, ora, sostiene che il welfare è una zavorra…
Ci sarebbe anche un’altra “retrovia” di lavori che non appaiono, lavori a volte umili a volte concreti, ma così necessari per il funzionamento generale del Paese: dalla raccolta dei rifiuti ai servizi di logistica e di pulizia, alla distribuzione. Pur non combattendo sul fronte principale, sappiamo quanto sia importante curare la vita ordinaria del resto del Paese, affinché si possa vivere una quotidianità sostenibile. Spesso sono cooperative, spesso gli operatori ricevono retribuzioni assai umili. Non è un lavoro strettamente “sociale”, eppure anche queste attività meritano una sottolineatura, una nota perché nessuno si scordi di loro.
Il lavoro che tutti questi operatori stanno compiendo a servizio del Paese e delle persone è la testimonianza di una solidarietà che unisce. Ognuno sta facendo la propria parte, ma qualcuno sta facendo qualcosa di più. È giusto ringraziarli. Ma il modo migliore per farlo, ora, è metterli in condizione di sicurezza per poterlo fare, con i giusti strumenti di protezione per loro e per gli altri. Dunque, bene il grazie di tutti; ma al momento meglio la mascherina, il gel, gli scanner e tutto quanto serve per proteggere concretamente la vita. Anche i Comuni e le Regioni possono mettere a disposizione quanto hanno già in bilancio per sostenere tutte queste realtà. E poi occorre tornare a pensare per condividere un’idea su come rafforzare il welfare locale. Un’ipotesi per rimodulare il reddito di cittadinanza va fatta. Anche subito, prima che la recessione arrivi.
Fonte: www.acli.it