Da pochissimi giorni abbiamo iniziato il Tempo di Avvento, e già siamo a una pausa, che solo in apparenza sembra sospendere il cammino ascetico in preparazione al Natale: in realtà, la continuità è forte, anche grazie al tema scelto dalla nostra Diocesi per l’Avvento di quest’anno, “Maestro, dove dimori?”. Dove ti troviamo, Signore? Dove possiamo incontrare una risposta ai nostri interrogativi? Dove sei, quando ti cerchiamo e invochiamo il tuo nome? Ed è proprio collegandoci a questo “Dove sei?”, spesso rivolto dall’umanità a Dio, che intravediamo nella liturgia di oggi un elemento comune al tempo di preparazione al Natale. Collegare, infatti, all’Avvento la figura di Maria nel suo “sì” a Dio così come il Vangelo ci annuncia, è abbastanza scontato e soprattutto avremo modo di farlo la quarta domenica di Avvento, ormai vigilia di Natale. Addentriamoci, piuttosto, in questa domanda, con la quale spesso costringiamo Dio a uscire allo scoperto, e ci accorgeremo che oggi è lui a chiedere a noi di farci avanti e di dire senza paura chi siamo e dove stiamo andando.
“Dove sei?”: con questa frase lapidaria, il Dio della Creazione chiama l’uomo all’interno del giardino dell’Eden e gli chiede di uscire allo scoperto dopo che questi aveva mangiato dell’albero di cui gli aveva comandato di non mangiare. Gli chiede “Dove sei?” non perché non ne avesse la percezione, o perché sentisse la necessità di guardarlo in faccia, di saperlo vivo e vegeto al suo fianco; Dio non può essere angosciato di non avere con sé la propria creatura, perché la sua onnipotenza non gli fa certo avvertire il bisogno di avere l’uomo al suo fianco. Semmai, a essere angosciato e preoccupato è proprio l’uomo, che si era nascosto dalla sua vista “perché ha avuto paura, perché aveva sentito la sua voce nel giardino e perché era nudo”. Tutte cose, queste, che fino allora non erano per nulla state un problema. Aveva forse l’uomo avuto paura di Dio, fino allora? La sua voce gli aveva incusso terrore? Era forse un problema, il fatto di presentarsi nudo, davanti al suo Creatore? Certamente no: e allora, perché doveva temere proprio ora? Dio voleva una spiegazione a questo suo atteggiamento, e per questo va in cerca di lui, perché, se c’è qualcosa che non va, abbia il coraggio di manifestarlo apertamente.
Qualcosa che non va c’è, eccome: ma come spesso accade, non è colpa dell’uomo. È sempre colpa di circostanze, condizionamenti, situazioni o persone a lui estranee che lo portano ad assumere comportamenti scorretti, a causa dei quali è meglio non guardare in faccia Dio; ad ogni modo, anche nel momento in cui Dio si accorge di questi comportamenti per cui non ci si può più nascondere, la risposta dell’uomo è immediata. La colpa è ancora di Dio: “La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”. Sei tu, Dio, che hai messo al mio fianco questa persona: pensavo di potermi fidare di una tua creatura, in tutto simile a me, e invece mi sono sbagliato. Anzi: tu hai sbagliato, perché tu l’hai messa al mio fianco.
E Dio raccoglie la provocazione, per cui va a interrogare direttamente quella creatura che egli aveva affiancato all’uomo perché fosse per lui un aiuto simile, e invece si è rivelata d’intralcio. Ma anche qui, la catena continua: non può essere colpa della donna, qualche altra circostanza, condizionamento, situazione o persona devono averla portata a questo. Non ci si scappa: non è che fossero in molti, a quel tempo, per cui se non è stato uno è stato l’altro. O forse entrambi, entrambi ingannati e ingannatori, a causa di quel subdolo e strisciante dono di Dio all’umanità che è la sua libertà: meraviglioso dono, cosa che più bella di quella non ce n’è, sempre e quando, però, si fida del suo Dio e non di se stessa. Perché quando l’uomo inizia a fidarsi esclusivamente di se stesso, della propria coscienza, della propria libertà, delle proprie capacità e per questo pensa di poter fare a meno di Dio, allora succede tutto questo: succede che inizia ad avere paura di guardare in faccia alla realtà, inizia a nascondersi dalle proprie responsabilità, inizia ad avere vergogna di farsi vedere nella sua limitatezza, inizia a indossare delle maschere, inizia a rimpallare le responsabilità agli altri, e giunge addirittura al punto di dare, di tutto questo, la colpa a Dio. Quel Dio che prima era stato così bravo a mettere al nostro fianco persone valide, aiuti fondamentali per la nostra vita, ora diviene colpevole di aver rovinato tutto proprio per via di quelle persone: e mai una volta che ci si assuma le responsabilità dei nostri errori!
Questa è la cosa peggiore quando cadiamo nell’errore e nel peccato: mettere delle maschere, nasconderci, non ammettere che è colpa nostra, e incolpare tutto il resto. Impariamo invece a riconoscere i nostri limiti, ad accettarli, addirittura ad amarli, e a capire che abbiamo sempre la possibilità di ricominciare da capo: e allora ci accorgeremo che la vita va avanti lo stesso nonostante noi; che l’umanità non ha ancora smesso di essere una ricchezza per Dio; che nonostante il male, continuerà a insidiare la nostra e l’altrui coscienza, noi avremo sempre la possibilità di schiacciarlo, di metterlo sotto i nostri piedi, cioè di sottometterlo a noi, perché il male è forte, certo, ma il bene lo è molto di più.
E aver preservato la propria Madre da queste dolorose e penose vicende di meschinità rendendola sin dal suo concepimento “Immacolata”, ovvero libera e non sottomessa alle logiche del male, ci dà un’enorme iniezione di speranza: nonostante il peccato sia originale, ovvero insito nella nostra natura umana “da sempre”, ciò non significa che lo debba essere “per sempre”. È sufficiente non nascondersi, e a Dio che ci chiede “Dove sei?” rispondere, nonostante tutto, come Maria: “Eccomi!”.
Don Alberto Brignoli