E così, alla fine, il 20 e il 21 settembre si andrà a votare il referendum confermativo sulla riduzione del numero dei parlamentari, già previsto – prima che il Covid 19 ne rinviasse l’appuntamento e ne inabissasse la memoria – per il 29 marzo 2020.
Il dibattito sull’iniziativa, molto acceso per tutto il 2019 e, appena dopo, alla data di presentazione della richiesta referendaria, è ripreso solo da poco, oscurato dalla pandemia e dalle polemiche sull’election day, e in tanta parte consumato nel contenzioso – spesso decisamente strumentale – sul risparmio che il provvedimento avrebbe comportato a favore del popolo tutto, confinando il discorso sui costi della politica in un ambito asfittico. Abbiamo così assistito, per qualche mese, ad una guerra di cifre che sembrava non conoscere fine né migliori approdi, tanto da essere ormai quasi del tutto abbandonata nelle argomentazioni di entrambi gli schieramenti.
La questione di ridurre il numero dei parlamentari non è affatto nuova all’iniziativa politica e parlamentare del nostro Paese, né mai del tutto conclusa perfino nel dibattito dell’Assemblea costituente. Eppure l’appuntamento cui siamo chiamati il 20 e 21 settembre rappresenta in qualche misura una novità, le cui caratteristiche sono tali da confondere e impedire schieramenti netti, chiari e prevedibili.
Per la prima volta, infatti, la riduzione del numero dei parlamentari non è inserita in un più vasto intervento di riforma costituzionale. È una scelta voluta e dichiarata: «Il metodo nuovo che intendiamo utilizzare, come evidenziato nel contratto di governo, si fonda su un approccio pragmatico, che punta alla realizzazione di “alcuni interventi limitati, puntuali, omogenei, attraverso la presentazione di iniziative legislative costituzionali distinte ed autonome”… In sostanza, intendiamo superare l’orizzonte delle “grandi riforme”…». Così annuncia il Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta, Riccardo Fraccaro (Camera dei Deputati, seduta del 12 giugno 2018).
Ciò comporta che il duplice obiettivo – «da un lato favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere per renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini e, dall’altro, ottenere concreti risultati in termini di spesa (dunque ridurre il costo della politica)»[1] – non trovi (e non cerchi) ragione, legittimazione e coerenza nel complesso dell’architettura istituzionale e/o nel suo ridisegno. Frantumati in tanti provvedimenti diversi e autonomi, gli interventi di riforma sono così svincolati gli uni dagli altri, pur producendo effetti significativi – e da taluni ritenuti dirompenti – gli uni per gli altri, senza un disegno coordinato e organico.
La critica da più parti sollevata – persino all’interno del fronte che sostiene le ragioni del SI al quesito referendario – è che gli effetti negativi prodotti dalla riduzione del numero dei parlamentari sull’intero meccanismo di rappresentanza non trovino soluzione in provvedimenti contestuali, in grado di ricomporre – sia pure attraverso l’adozione di interventi “chirurgici” – l’assetto istituzionale nel suo complesso.
Insomma, un referendum che sembra sollevare obiezioni più su quello che manca che su quello che c’è.
L’allentamento del rapporto tra rappresentati e rappresentanti e del radicamento territoriale, lo squilibrio che l’accrescimento dei collegi provocherebbe tra le diverse aree del Paese (con grave pregiudizio per quelle interne, per non parlare della circoscrizione Estero) e nei confronti delle minoranze, gli effetti che si produrrebbero implicitamente – a legislazione invariata – sulle soglie di sbarramento, sono alcune delle osservazioni eccepite sul versante stretto della rappresentanza, mentre il vulnus più forte rimane l’occasione mancata rispetto alla riforma del bicameralismo, ovvero alla necessità di mettere mano alle funzioni e alle competenze delle Camere insieme e prima ancora che ai numeri.
Il timore di molti è che la riduzione del numero dei parlamentari possa quasi sancire una considerazione di irrilevanza del Parlamento, per il combinato disposto di ciò che non c’è (oltre a quanto segnalato l’attenzione a garantire la funzionalità delle Camere, attraverso la necessaria adozione di nuovi regolamenti) e di ciò che invece c’è (dalla legge 51/2019, che rende applicabile l’attuale legge elettorale indipendentemente dal numero dei parlamentari, ad alcuni progetti di riforma come l’introduzione del vincolo di mandato, il rafforzamento della democrazia diretta con la previsione dell’introduzione del “referendum propositivo” e l’elezione diretta del vertice dell’esecutivo). E che, per una sorta di eterogenesi dei fini, si concorra a realizzare – invece che rimediare – lo svilimento e la marginalità delle prerogative parlamentari, già messe a dura prova durante la pandemia.
Anche per questo, non sono pochi coloro che approvano l’intervento di riduzione pur eccependo nel merito di come è stato realizzato e temendo che l’ignorare gli effetti costituzionali, ordinamentali e politici che questo comporta non riesca realizzare gli obiettivi che i promotori si prefiggono. E che ragionare solo sui numeri – dei parlamentari e del “risparmio” – non sia garanzia di efficacia e miglioramento della qualità delle nostre istituzioni. Tuttavia, la constatazione di un concreto rischio di veder vanificato nel nostro Paese ogni concreto intento riformatore (che abbia respiro ampio o raggio d’azione limitato) fa propendere molti per il sostegno alla riforma.
In questo particolare momento storico, che minaccia di smaterializzare luoghi e relazioni, crediamo sia nostro preciso dovere rimettere al centro la riflessione sulle forme di partecipazione dei cittadini al sistema democratico e sulla capacità delle istituzioni di sviluppare risposte e proposte adeguate, sostanziando così il vincolo della rappresentanza e della responsabilità politica.
Per questo, come ACLI, continueremo con ancora maggiore determinazione e impegno il percorso di pedagogia sociale che ci ha già visto promuovere – su tutto il territorio nazionale e presso i nostri connazionali all’estero – iniziative di informazione, confronto e dibattito sul tema referendario e sulle riforme costituzionali.
Consapevoli che il pronunciamento sul quesito referendario ci interpella non (solo) sui numeri ma sul percorso di ri-costruzione delle nostre istituzioni democratiche, le ACLI invitano quindi tutti a recarsi alle urne, esprimere la propria preferenza e vigilare affinché, in ogni caso, si possa aprire nel Paese un dibattito serio e articolato sulla Riforma della Costituzione, per affrontare in modo complessivo alcuni problemi strutturali esistenti.
ANDATE A VOTARE!
Fonte: www.acli.it