A voler trovarne il fondo, o non se ne viene a capo, o vengon fuori cent’altri imbrogli. Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire”. Sono le parole che, nel cap. XIX de I promessi sposi, il conte zio rivolge al padre provinciale.
Sopire, troncare, tuttavia, non è soltanto il suggerimento del personaggio del romanzo. È piuttosto l’atteggiamento di quasi tutti gli uomini attraversati dalla smania di definire con chiarezza il bianco e il nero. Ci attraversa tutti il bisogno di separare, distinguere, dichiarare, giudicare. Quanto zelo religioso, forse, ma nient’affatto evangelico animate non pochi credenti! Abbiamo fretta nel decidere cosa accettare e cosa rifiutare; abbiamo fretta nell’eliminare tutto ciò che non rientra nel nostro orizzonte interpretativo. Ci appartiene quella sorta di impazienza che nasce da tanta superficialità, un’impazienza che non vuol sentir ragioni quando si tratta di fare i profeti sulla pelle altrui e perciò ci si sente in diritto di denunciare, colpire e condannare il male presente nelle azioni altrui. Non poche volte, infatti, proprio questa nostra irruenza nel perseguire una giustizia implacabile, finisce per nascondere dei mali segreti che ci portiamo dentro senza volerli riconoscere. La superficialità con cui si affrontano le situazioni si traduce spesso con uno stile sbrigativo e precipitoso senza tenere conto delle conseguenze che certe scelte possono produrre anche su chi, magari, non ha alcuna collusione con il male. Si decide, così, sulle teste altrui in modo sommario e per nulla rispettoso di quei timidi germogli che forse stanno già spuntando. E, come si dice dalle nostre parti, per combattere la rabbia si uccide il cane. Ho paura, lo confesso, di decisioni prese così, come ho paura di interventi che mettono tutti allo stesso livello. Attenzione a sbagliare i tempi, ripete il Signore, e attenzione a sbagliare compito!
Ho avuto nostalgia, in questi giorni di parole urlate, della longanimità di Francesco d’Assisi il quale, di fronte al male altrui dice: “E non voler che per te gli altri diventino cristiani migliori”. Quanta lungimiranza in queste parole nella consapevolezza che la conversione la si può pretendere solo da se stessi.
Tanta impazienza nasce non poche volte da tanta insipienza: è da saggi, infatti, frenare l’impulso emotivo dell’istinto e arrivare a discernere quale sia la scelta più opportuna da compiere, attese tutte le circostanze. Chissà perché, poi, ci scandalizziamo sempre dei peccati e degli errori altrui e non riusciamo a fare un serio esame di coscienza sui nostri!
Quanto diverso lo stile di Dio! Gesù è consapevole che anche là dove si lavora con coscienziosità e competenza può annidarsi il tarlo dell’invidia, della gelosia, della cattiveria. C’è sempre la possibilità di qualcuno che semini zizzania senza alcun motivo. Come c’è sempre chi, animato da santo zelo per le sorti del raccolto, propone di intervenire subito: sopire, troncare, appunto, come suggeriva il conte zio al padre provinciale. Per fortuna, capita pure di trovare presenze che, in modo equilibrato e saggio, sanno usare pazienza e non si lasciano guidare da decisioni prese con la pancia (quante decisioni vengono prese oggi in modo maldestro per essere à la page condizionati dalle informazioni mediatiche che hanno assunto il ruolo dei servi che suggeriscono interventi drastici).
Dio non è mai precipitoso e affrettato nel giudizio e, perciò, dona a tutti il tempo per un ripensamento nella propria vita. Se egli che è l’unico a poter dire con esattezza chi è frumento e chi zizzania non lo fa, quanto più noi! Dio non ha fretta: chi ama dà sempre il tempo necessario perché la zizzania possa addirittura diventare buon grano. Appartiene a Dio, infatti, un cuore aperto, uno sguardo compassionevole e una intelligenza disposta ad apprezzare ogni frammento di luce da qualunque parte venga. A volte crediamo che la fretta nel giudicare e l’uso di una soluzione radicale sia una dimostrazione di forza e di non connivenza con il male: essa, tuttavia, è proprio il sensore di un certo nostro malessere, quasi che stigmatizzata una certa situazione di fronte a noi, noi siamo in qualche modo garantiti. Ma il giudizio non spetta a noi, anche perché nessuno di noi, in tutta coscienza, può attestare di essere soltanto buon grano. Forse che noi non subiamo il fascino di una certa inclinazione al male, forse che non fatichiamo nel portare avanti gli impegni presi, forse che talvolta non abbiamo preso le distanze da ciò che il Vangelo ci chiede?
Abbi misericordia di me, Signore, del mio vedere il bene e riconoscerlo come tale e della mia incapacità a compierlo.
Don Antonio Savone