C’è tanta leggerezza, nel corpo e nello spirito della Vergine Maria. Non la leggerezza di chi prende le cose con superficialità. È invece la leggerezza del passo veloce, dell’incontro appassionato, del canto gioioso. Non la leggerezza di chi finge di non sentire la fatica e il dolore. È piuttosto la leggerezza di chi scopre una forza più profonda per affrontare le arsure della vita.
Maria è leggera, quando si alza in fretta e cammina verso la regione montuosa della Giudea. Il passo è leggero. Dopo l’incontro con l’angelo, e l’annuncio dell’evento che rivoluziona la storia dell’uomo, Maria ha i palpiti del cuore a mille e il sangue che scorre veloce nelle vene. Per questo cammina, quasi corre leggera, mossa dalla Vita che l’ha cercata e da una nuova vita che inizia a pulsare nel suo grembo. Nessun indugio più. La vita stessa ha bisogno di andare, e custodire la vita non significa immobilizzarsi pesantemente in inutili precauzioni. Una mamma intuisce che leggero è il cuore e anche il grembo, quando si fida di chi la vita gliel’ha donata.
Maria entra leggera in casa di Zaccaria, cercando la cugina Elisabetta. Le tradizioni e la legge non sono legacci ai piedi e la storia della salvezza, forse più maschile che femminile, ritrova in questo incontro la fresca leggerezza degli abbracci di donna. Due donne controcorrente: una sterile e l’altra senza marito, entrambe rimaste incinta della vita. Il vento dello Spirito rende leggero l’impossibile. La benedizione di Elisabetta consacra semplicemente una verità: ‘nulla è impossibile a Dio’. Cosa vale di più, di fronte alla sofferenza di madri private dei figli e di figli privati dei genitori? Una tenerissima corsa verso un abbraccio che rinnova la fiducia, per dirti che ‘non sei sola’. Non è trascurato il dolore, non viene oscurata la pena. Solo acquista nuovo valore, nuovo peso. Non più il peso della condanna e del giudizio, ma quello potente dell’amore. La leggerezza dell’incontro in Dio rende pesante il dono d’amore.
Maria canta, leggera. Il Magnificat è canto di brezza leggera. Ristora l’anima, rincuora l’afflizione, abbraccia le pene del popolo e dei popoli. Nessun dramma è escluso dall’inno di grazie di Maria. Ma nessun dramma diventa lamentazione, bensì celebrazione della gratitudine. Chi si fida dell’Onnipotente, che leggerissimo ha posato il suo sguardo sull’umile, intravede anche nelle vicende della storia gli stessi occhi che attraversano intimamente le viscere dell’umanità. E danno speranza. Maria è donna di speranza. Speranza è leggerezza di spirito, capacità di vedere dentro e oltre, movimento operoso di diaconia.
Penso che per tutto questo, e molto più, non sia costato molto al Padre, che l’ha creata figlia, e allo Spirito, che la fecondata madre, attrarre accanto a sé la sposa. Penso che sia stato semplicemente naturale che il corpo leggero della Vergine abbia potuto seguire lo spirito immacolato in Cielo, per tornare a sedere accanto al Figlio e dialogare teneramente di nozze e di dono, di servizio e di cercatori di tesori.
La leggerezza con cui qui, in questa terra, la Grazia ha inondato la sua vita, ha fatto di Maria una creatura totalmente abbandonata al vento dello Spirito. E il vento serve per alzare in alto e sospingere. Verso su, dove la nube di vapore si ricostituisce in goccia, e scendono di nuovo le piogge della grazia. Maria, riempita dalla fonte in ogni istante della sua esistenza terrena, è salita al Cielo per restituire, goccia dopo goccia, tanta acqua dissetante e ristoratrice a chi, come lei, cresce assetato dell’infinito. E le si rivolge fiducioso.
Maria, vaso di creta traboccante del tesoro prezioso, fin dall’infanzia del suo Gesù lo aveva cercato come perla preziosa, nel mistero del nascondimento del figlio dodicenne. E ora, da lassù, si fa compagna di viaggio per ogni cercatore di tesori che crede ancora nella forza dello stupore.
Nel mezzo dei pesi della nostra vita, a volte così duri e insopportabili, guardare a Maria, leggera portatrice della Grazia, ci suggerisce un passo, una trasfigurazione. Mettiamo le nostre zavorre in lei, e con lei in Gesù, e saranno trasformate in contenitori di benedizione. Il peso della sofferenza lascerà spazio al peso dell’amore: che, in altri termini, si chiama Gloria, ed è la stessa Gloria di cui ora la dolce Madre gode leggera nei Cieli.
don Luca Garbinetto