Miguel è un ragazzino cicciotto di dodici anni. La sua famiglia è scappata dal Venezuela e, dopo un viaggio pieno di difficoltà e mille peripezie, è approdata a Carabayllo, in un quartiere a pochi chilometri dalla parrocchia. Con i genitori, i nonni e gli zii sono entrati a far parte in modo attivo della comunità. Ricordo bene il giorno della sua prima comunione: era molto emozionato, non riusciva a stare seduto tranquillo sulla sedia. Cosí mi avvicinai per tranquillizzarlo un po’, ma Miguel mi disse: “Padre, non posso stare fermo! Il mio corpo è pronto!”.
La risposta del mio giovane amico mi ha fatto sorridere e, allo sesso tempo, riflettere profondamente. Ho pensato all’ultima cena di Gesù e a cosa avranno pensato i discepoli quando il Signore spezzó il pane e disse che era il suo corpo. Miguel, con la freschezza della sua fede, mi ha fatto intuire che l’Eucaristia è un corpo a corpo, è un incontro e, a volte, uno scontro.
Quando mi disse che il suo corpo era pronto ad accogliere il corpo di Gesù, ricordai il racconto di sua nonna. Scapparono da un paese lacerato dalla dittatura e dalla fame, viaggiarono nascosti in un camion che trasportava polli, camminarono per giorni senza mangiare e senza bere un goccio d’acqua e, arrestati dai militari, dovettero pagare la liberazione con gli ultimi risparmi. Arrivarono in Perú con le tasche vuote e il corpo rotto, spezzato, frantumato dal dolore e dalla fame.
Il giorno della Prima Comunione di Miguel, nonostante il mio cuore duro e la mia poca fede, compresi la forza, la bellezza e l’audacia delle parole di Gesù: «Prendete, questo è il mio corpo». Il suo corpo spezzato ricompone il nostro corpo rotto dagli assalti della vita; il suo corpo donato sana le nostre ferite e intreccia carne e speranza, muscoli e passione, per riplasmarci a Sua immagine nel corpo a Corpo del mistero eucaristico.
Don Roberto Seregni