Durante il lockdown si è lavorato molto per l’emergenza in corso. Ma s’è anche progettato per affrontare la ricostruzione. Con un paradigma per cui un nuovo modello di welfare s’innesti in un nuovo modello economico e viceversa. Detto in altre parole: è un grave errore tener distinto lo sviluppo dell’economia dallo sviluppo del welfare, come se l’economia si occupasse di fare, di produrre attività, e il welfare di curare i danni, d’intervenire successivamente sulle passività. Finora, nella storia della repubblica, abbiamo sviluppato grandi e importanti politiche passive, di copertura del danno, e poche politiche attive. Ecco allora una proposta che sconfina tra l’attivo e il passivo, tra la protezione e la promozione, tra la cura e il rilancio, tra le risorse pubbliche e le private. È una proposta per implementare il Reddito di Cittadinanza.
Com’è noto il RdC, oltre al mensile versamento di un reddito monetario al soggetto fruitore, attiva due percorsi alternativi. Semplificando li descriviamo così: se puoi lavorare, stipulerai un patto per il lavoro attraverso i Centri per l’impiego; se non puoi lavorare, sarai inserito in un percorso di accompagnamento denominato patto per l’inclusione sociale. Al momento il primo patto è piuttosto teorico, dato che i Centri per l’impiego – nonostante i navigator – hanno scarse possibilità di proporre lavoro. Il lockdown ha fatto anche il resto. Il secondo patto, invece, è facilitato dal percorso compiuto in questi anni dalle esperienze del Sia e del Rei. Non è esattamente la stessa cosa, ma la logica potrebbe essere la medesima. Ma ecco che qui si potrebbe inserire una terza possibilità, una terza gamba, un terzo patto: un patto per l’imprenditoria civile.
L’idea è semplice: anziché effettuare un’erogazione mensile dell’importo monetario previsto – 780 euro in teoria, poco più di 500 euro in media in pratica – si accredita un’unica soluzione di denaro relativa a più mensilità, in modo da permettere al soggetto di disporre di un piccolo capitale per aprire un’attività autonoma. Già oggi è espressamente previsto che si possano erogare 6 mesi di reddito tutti insieme – poco meno di 5mila euro – per aprire una cooperativa o un’impresa individuale. Allargando questo varco si potrebbe per esempio passare a 12 mensilità tutte insieme – in sostanza poco meno di 10mila euro – accompagnando però l’aspirante imprenditore civile attraverso uno staff di cooperatori o di altri soggetti abilitati a valutare il progetto d’impresa, per assisterlo nell’avviamento e nelle prime difficoltà. Si rivelerebbero utili gli incentivi fiscali e la disponibilità di mettere a disposizione del nuovo soggetto sociale beni pubblici tipo immobili confiscati alla criminalità organizzata, terre incolte, strutture in condizioni di degrado… Dunque non si tratta di aprire una nuova impresa secondo la logica individualistica di chi si mette sul mercato per cercar fortuna, ma di promuovere un’iniziativa sociale che si integra nel territorio, nella comunità: un’impresa… civile, insomma. Il Comune avrebbe anche la possibilità di sviluppare la sua funzione di presidio dello sviluppo economico attraverso forme di cogestione dei beni indicati e di indirizzo generale.
Ci sembra che un’idea così avrebbe il pregio di ibridare e far incrociare diversi percorsi. È un’idea aperta. È un’idea nata da soggetti che partecipano alle principali reti sociali di questi anni, quelle reti sociali dove è forte il desiderio di far nascere qualcosa di nuovo: la rete Per un nuovo welfare, l’Alleanza contro la povertà, l’Alleanza per lo sviluppo sostenibile, il Forum Diseguaglianze e Diversità. Anche questo ci sembra un bel segno, di una partecipazione pubblica/privata al bene comune.
Fonte: www.acli.it