Poco conosciuto, per redditi alti ma con aspirazioni universali. Così appare il welfare aziendale nel 1° rapporto Censis-Eudamon dedicato al tema.
Anche se il 41,2% dei contratti attivi territoriali e nazionali prevede forme di welfare aziendale, dall’indagine, basata su 1000 cittadini e 1000 lavoratori e presentata ieri a Roma, emerge che il solo il 17,9% dei lavoratori sa di cosa si tratta, il 58,5% conosce il welfare aziendale a grandi linee e il 23,6% non ne sa nulla. Chi conosce il welfare aziendale è inoltre più propenso ad accettare il premio di produzione sotto forma di servizi che in denaro. Il buco informativo cresce però con il decrescere dei salari, del reddito familiare e il livello culturale.
I servizi più apprezzati dai lavoratori riguardano la salute e la sanità, la previdenza integrativa, i servizi socioassistenziali per famiglie con minori, disabili e anziani non autosufficienti. Il 68,2% dei favorevoli a sostituire il premio aziendale con il welfare è rappresentato infatti da famiglie con figli piccoli. Segno che nella percezione comune, dal 2008 a oggi, c’è stata un’erosione del welfare pubblico. Negli stessi anni, infatti, la spesa privata per il welfare è diventata il 74,8% del budget familiare.
I cittadini cercano una risposta ai loro bisogni nel welfare aziendale che potrebbe dunque diventare una seconda gamba del welfare pubblico e, per usare le parole di Massimiliano Valerii, direttore del Censis, “ridare sicurezza sociale e ricreare circuiti positivi nell’economia”.
“Per diventare universale – ha commentato il senatore Luigi Bobba, sottosegretario al Lavoro, durante la presentazione del rapporto – il welfare aziendale deve diventare parte del welfare di comunità. Ma al momento la prospettiva del welfare aziendale è confinata ai lavoratori medio alti, è escluso il potenziale molto largo delle medie e piccole imprese e sono lasciate fuori persone che non hanno un contratto nazionale e che lavorano soprattutto nei servizi”.
Tuttavia, anche a causa dell’ultima legge di bilancio che defiscalizza i servizi dati come premio aziendale, il welfare aziendale prevede numerosi servizi e benefits come la previdenza e la sanità ma anche la benzina, i viaggi studio, la palestra e i buoni acquisto. Sono beni che, per quanto apprezzati dai dipendenti, non accrescono il senso di sicurezza sociale.
“Dobbiamo trovare dei modelli – ha aggiunto Alberto Perfumo di Eudaimon – che vanno al di là del mero potere di acquisto, servono coperture che i dipendenti farebbero fatica a ottenere singolarmente. In questo modo il welfare aziendale può svolgere un ruolo importante nel nostro Paese”.
Come secondo pilastro, però, il welfare aziendale funziona solo se non sostituisce il welfare pubblico ma lo affianca e se non prende il posto di una politica dei salari e di contrasto alla povertà che può venire solo dallo Stato. In quest’ottica andrebbero sciolti alcuni nodi: dalla diffusione disomogenea delle imprese e del welfare nel Paese, il rispetto di determinati standard, la presenza del welfare aziendale in tutti i contratti sono alcune degli aspetti più critici. Infine, hanno evidenziato tutti i relatori del convegno, legare come avviene oggi il welfare aziendale agli incentivi fiscali rende l’impianto debole e incerto.
Fonte: www.acli.it