XV Domenica del Tempo Ordinario

Le parole del maestro Gesù sono sempre sorprendenti e sferzanti. Il Vangelo, se lo prendiamo sul serio, ribalta e inquieta, apre orizzonti nuovi che ci fanno guardare la vita, il mondo, gli altri e Dio con occhi nuovi. La parabola del buon samaritano è un testo intenso e sorprendente, quasi un Vangelo dentro al Vangelo. Tutto inizia con una domanda: “E chi è il mio prossimo?”. Il dottore della Legge interroga Gesù su chi deve essere trattato come “il mio prossimo”, ma il maestro rifiuta di entrare in un problema che cerca di delimitare i confini dell’amore. L’amore, quello vero, non si può rinchiudere in nessuna circonferenza. Gesù ribalta la questione, vuole provocare nuove domande e abbracciare orizzonti più ampi e inesplorati.

Chiedersi “chi è il mio prossimo” significa che l’unica cosa che mi interessa è sapere chi sono obbligato ad amare e chi – senza sentirmi in colpa – posso guardare con indifferenza.

La vera domanda, quella che deve inquietare il cuore dei suoi discepoli, è un’altra: mi sono fatto prossimo?

Essere discepolo è ridurre le distanze, abbattere barriere e pregiudizi. Il discepolo non si preoccupa se l’altro ha le qualità necessarie per essere considerato prossimo. La sua unica preoccupazione deve essere quella di farsi prossimo, proprio come ha fatto il samaritano. Il maestro Gesù ci chiede una conversione radicale: non devo preoccuparmi di chi è il mio prossimo, ma farmi prossimo di tutti quelli che hanno bisogno di me.

Leggendo con attenzione la parabola, scopriamo che il samaritano è Gesù stesso e l’uomo ferito siamo noi, l’umanità lacerata nel cammino della vita.

Solo lasciandoci guarire dalle mani compassionevoli di Gesù buon Samaritano, che sana le ferite dell’umanità con il vino della nuova alleanza e l’olio della grazia, diventeremo una Chiesa samaritana.

Solo sperimentando la bellezza di un amore che guarisce e libera, potremo essere samaritani: uomini e donne guariti e risuscitati dalla mano misericordiosa di Gesù, chiamati a testimoniare con umiltà e passione, la bellezza dell’unico amore che può davvero riempire il cuore.

Solo lasciando cadere le nostre maschere e le nostre paure, potremo sperimentare la dolcezza e la fermezza dell’amore che perdona. Solo così potremo trovare nuovi cammini per diventare una chiesa samaritana. Una Chiesa vicina alle persone che lavorano, lottano e soffrono. Una Chiesa che abbatte le barriere e si lascia guidare dallo Spirito profetico di Cristo e non dal potere o dal desiderio di apparire. Una Chiesa preoccupata degli ultimi, appassionata dall’annuncio rivoluzionario di Gesù e dalla trasparenza del volto misericordioso del Padre.

Don Roberto Seregni