Leggendo questo bellissimo racconto di Marco, la prima cosa che balza all’occhio è che l’incontro tra Gesù e il sordomuto avviene nel territorio pagano della Decapoli. È interessante sottolineare la libertà del Maestro: per lui non ci sono barriere di nessun tipo: non esistono puri o impuri, buoni o cattivi, ebrei o pagani, vicini o lontani. Il suo messaggio è universale. Lui è la porta (cf Gv 10,7.9), è venuto per farci uscire dai recinti per liberarci, per farci respirare aria nuova. Il cammino di Gesù va sempre in direzione del mondo intero. Siamo noi che abbiamo paura di uscire dall’ombra del nostro campanile.
Un secondo elemento che mi sembra molto interessante sottolineare è il primo gesto di Gesù: “Lo prese in disparte, lontano dalla folla…”. Gesù trascina il sordomuto lontano dalla folla, dalla confusione, dai curiosi. Il maestro cerca un incontro personale, non una dimostrazione in piazza. Questa mi sembra un’indicazione importante e attuale anche per ciascuno di noi: per incontrare il Signore Gesù bisogna avere il coraggio di sottrarsi alla folla, al rumore, alla confusione. Se vogliamo ascoltare la Parola e dialogare con Lui, dobbiamo avere il coraggio di uscire da tutto quello che ci distrae e ci allontana, di liberarci da tutto ciò che ci ostacola e ci zavorra in questo cammino di ascolto.
Da cosa devo uscire per vivere un vero incontro con Gesù e lasciare che la sua mano squarci la mia sordità? Di cosa o di chi sono ancora schiavo? Quali legami intossicano la mia vita?
Un terzo elemento molto importante è il forte coinvolgimento fisico di questa guarigione che Marco sottolinea con molta precisione. Le dita del Rabbí nelle orecchie del sordo e la sua saliva sulla sua lingua sono un’immagine bellissima del desiderio di Gesù di rimettere a nuovo la creazione.
Gesù apre le nostre orecchie per farci ascoltare la parola del Padre, scioglie il nodo della nostra lingua affinché possiamo ringraziare e lodare il Creatore. Mi commuove questa immagine delle mani di Gesù intente a completare l’uomo, a portarlo a perfezione: “Ha fatto bene ogni cosa”, ma potremmo anche tradurre: “Ha fatto bella ogni cosa”.
Lui non si stanca di noi, delle nostre chiusure, della nostra colpevole sordità. Lui crede in noi, sicuramente più di quanto noi crediamo in Lui! Ci riprende tra le mani, ci lavora, ci rimodella a sua immagine.
Ciò che accadde al sordomuto, si rinnova in noi ogni volta che ci mettiamo in ascolto della Parola e ci apriamo alla lode e al dialogo con Lui.
Un abbraccio
don Roberto
Don Roberto Seregni