No, non è un rapporto facile. No, non è una facciata di perbenismo. No, non è una poesia sdolcinata, non è neanche un rifugio confortevole, abitare davanti a Dio. Pregare, lasciarlo entrare nella nostra vita, significa lasciarsi ferire, lottare nella notte e zoppicare, come lo è stato per Giacobbe; non riuscire più a tenere le braccia alzate, come lo è stato per Mosè. Abitiamo in questa domenica pagine di preghiera inopportune, sfacciate e coraggiose, che sfidano tutti i nostri scoraggiamenti e la nostra pigrizia.
Alcune domeniche fa abbiamo incontrato un amministratore disonesto, un tipo inaffidabile. Oggi il Signore ci narra di un giudice iniquo, altra lampante contraddizione. Perdipiù è un uomo che non ha nessun timore di Dio, né gli interessa di essere amato dalle persone attorno: un bell’esempio, insomma. Nessuna pietà, nessuna empatia, nessun valore, sordo a tutto e a tutti. Quel giudice rappresenta quel Dio che ci raffiguriamo dentro: uno che non ci ha mai ascoltato, uno che non ha mai esaudito nessuna delle nostre richieste, uno tremendamente ingiusto, iniquo. È così che ce lo immaginiamo nelle nostre domande di sempre: «Che cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?», «Perché proprio a me?», «Perché non intervieni, non muovi un dito contro questa guerra e questo mondo?», «Perché questo dolore innocente, questa vita così carica di dolore, perché?». E Lui sembra indifferente, ateo, un pezzo di marmo e di insensibilità al grido della vita.
Ci pensa una donna, una vedova, a scuoterlo e a scuoterci. Come sempre, nel Vangelo, sono loro le partorienti di un volto altro di Dio. Una donna che bussa alla porta notte e giorno, inopportuna, insistente, fastidiosa, maleducata, seccatrice, lagnosa: è capace di infastidire e di farsi aprire la porta persino da quel giudice. Imparo tanto da questa vedova, tocco con mano il mio rapporto con quel giudice. Io non avrei il coraggio di essere così insistente; non lo farei mai, mi porrei un limite di umano rispetto, mi darei un tono educato e distaccato, mi stancherei, mi perderei d’animo. Ecco, forse siamo spinti ad una relazione meno compassata, meno educata, meno formale, più audace e più coraggiosa per entrare in relazione con quel giudice, con Dio. E solo così quella vedova diventa sposa, e solo così quel giudice diventa giusto: solo se camminano insieme.
Una parabola sulla preghiera, un dipinto che ci fa intuire che cosa sia preghiera: distruggere l’immagine di un Dio giudice iniquo che non ascolta e provare ad entrare in relazione autentica con Lui. È accogliere cha la vita sia preghiera, ossia precaria. Un monaco scrisse nel suo diario spirituale: «Credo che tutto deve cominciare dalla preghiera: perché l’intelligenza umana è troppo debole; perché l’uomo che agisce senza Dio non dà mai il meglio di se stesso. Credo che la preghiera non abbia bisogno di parole, perché l’amore non ha bisogno di parole. Credo che si possa pregare tacendo, soffrendo, lavorando, ma il silenzio è preghiera solo se si ama, la sofferenza è preghiera solo se si ama, il lavoro è preghiera solo se si ama. Credo che non sapremo mai con esattezza se la nostra è preghiera o non lo è. Ma esiste un test infallibile della preghiera: se cresciamo nell’amore, se cresciamo nel distacco dal male, se cresciamo nella fedeltà alla volontà di Dio. Credo che impari a pregare solo chi impara a tacere davanti a Dio. Credo che impari a pregare solo chi impara a resistere al silenzio di Dio. Credo che tutti i giorni dobbiamo chiedere al Signore il dono della preghiera, perché chi impara a pregare impara a vivere».
La preghiera è desiderio di stare con chi si ama, una relazione che non può essere né imposta né comperata, ma unicamente chiesta e offerta. Desiderio di cercare e offrire amore, amicizia: non posso pretendere nulla, altrimenti diventerebbe gioco di potere, imposizione. E quando desidero stare in sua compagnia, già sto pregando. E quando mi alzo la domenica mattina con il desiderio di andare a Messa, già lì è iniziata la mia liturgia di ringraziamento. E quando penso a chi amo, già sto amando. La preghiera è intessuta di relazione, di intimità: «Vale più un istante nell’intimità che mille salmi nella lontananza» (Evagrio il Pontico).
Pregare senza stancarci, senza scoraggiarci, pregare per non incattivirci. Quando smettiamo di pregare, diventiamo noi stessi terra arida e svuotata, diventiamo noi stessi quello stesso giudice iniquo e sordo. Quando smettiamo di pregare, il mondo diventa un luogo ostile, un mare di indifferenza. E ci sorprenderemo, in questo rapporto umano con Lui, che sempre ci ha ascoltati, sempre ci ha amati, che i nostri tempi erano brevi rispetto al suo respiro, che i nostri desideri erano poca cosa rispetto alle sue promesse. Ma quando tornerà, troverà fede sulla terra?
Don Andrea Varliero