«Ma non è il falegname, il fratello di Giacomo, Ioses, Giuda e Simone?» Poche pagine prima questi stessi fratelli sono scesi a Cafarnao per riportarselo a casa, il loro cugino strano, perché dicevano: è andato, è fuori di testa; lo danno per eretico, dobbiamo proteggerlo anche da se stesso.
E adesso a Nazaret, dove si conoscono tutti, dove si sa tutto di tutti (o almeno così si crede), la gente si stupisce di discorsi mai sentiti, di parole che sembrano venire non dalla sacra scrittura, come l’hanno sempre ascoltata in sinagoga, e forse neppure da Dio: da dove mai gli vengono queste cose?
Ed era per loro motivo di scandalo. Che cosa li scandalizza? L’umanità, la familiarità di un Dio che abbandona il tempio ed entra nell’ordinarietà di ogni casa, diventando il “God domestic” (Giuliana di Norwich, sec. XIII), il Dio di casa. Gesù, rabbi senza titoli e con i calli alle mani, si è messo a raccontare Dio con parabole che sanno di casa, di terra, di orto, dove un germoglio, un grano di senape, un fico a primavera diventano personaggi di una rivelazione. Scandalizza l’umiltà di Dio. Non può essere questo il nostro Dio. Dov’è la gloria e lo splendore dell’Altissimo?
E i suoi discepoli, questi ragazzi di fuori, pratici solo di barche, cos’hanno di più di Joses, Giacomo, Giuda e Simone? Non erano meglio i giovani del paese?
Un profeta non è disprezzato che in casa sua… Osservazione che ci raggiunge tutti, circondati come siamo da sillabe di Dio, gocce di profezia sulla bocca e nei gesti di mille persone, in casa, per strada, al lavoro, o in un’altra parte del mondo.
Ma noi: non sono all’altezza, diciamo; e li misuriamo, li soppesiamo, diamo loro i voti, troviamo scuse, anziché aprirci. E Dio si stupisce, ma non desiste e ripete: “ascoltino o non ascoltino, sappiano che un profeta almeno si trova in mezzo a loro” (Ez. 2,5). Siamo circondati da profeti, magari piccoli, magari minimi, ma continuamente inviati. E noi, come gli abitanti di Nazaret, dilapidiamo e sperperiamo i nostri profeti, senza ascoltare l’inedito di Dio.
Anche Gesù al rifiuto dei suoi compaesani si stupisce, ma non desiste. La sua risposta non è né rancore, né condanna, tanto meno depressione, ma una meraviglia che rivela come Dio ha un cuore di luce: “Non vi poté operare nessun prodigio”. Ma subito si corregge: “Solo impose le mani a pochi malati e li guarì”.
Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo. L’innamorato respinto continua ad amare, anche senza ritorno. Di noi Dio non è stanco: è solo stupito. E allora
“manda ancora profeti, uomini certi di Dio, uomini dal cuore in fiamme, e Tu a parlare dai loro roveti” (Turoldo).
Padre Ermes Ronchi