Chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti
Il brano termina con una questione non risolta. Per dir la verità l’evento della trasfigurazione è come incastonato tra due interrogativi simili: Pietro che non capisce e rimprovera il Signore ottenendone la risposta «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33) e il commento dell’evangelista che al nuovo annuncio della morte e resurrezione commenta: Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo (Mc 9,32).
Anche dopo la Pasqua i discepoli fanno fatica a capire e a riconoscere il Risorto.
A pensarci bene, nonostante il tempo trascorso e i volumi scritti, siamo ancora lì a domandarci che cosa vuol dire risorgere dai morti.
In altre parole non siamo certi di sapere cosa stiamo aspettando, cosa stiamo desiderando, il senso concreto che diamo alla parola Salvezza. I passi giganti della tecnologia medica ci fa apprezzare la rianimazione, l’uscita dal coma, l’allontanamento in extremis della morte che pure prima o poi giungerà, come è successo a tutti i salvati di cui i vangeli raccontano. Ma la resurrezione è un’altra cosa, così essenziale alla nostra fede che san Paolo afferma: ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati (1Cor 15,17), e talmente coinvolgente che: se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione (Rm 6,5).
E li condusse su un alto monte
Nel cammino tra una incomprensione e l’altra delle parole di Gesù sulla sua passione, Marco racconta la salita al monte. L’evento della trasfigurazione invece di offrire risposte pone interrogativi nuovi, se Pietro, Giacomo e Giovanni salgono confusi, nella discesa lo sono ancora di più. Eppure quella esperienza è stata così forte che il suo racconto arriva a noi pressoché identico nei vangeli sinottici.
Tutto in questo racconto è esagerato a cominciare dall’alto monte, le vesti splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche, l’apparizione di Elia e Mosè, la nube inaspettata, la voce e, all’improvviso più nulla.
L’esagerazione (come il suo contrario) sono l’espressione evidente dei sentimenti umani, così profondi da diventare inenarrabili, allora ci accontentiamo di immagini, di parole esagerate, di espressioni inusuali. Così Pietro, Giacomo e Giovanni racconteranno, dopo lungo silenzio e una lenta digestione dell’avvenimento quell’episodio che segna la loro esistenza, non tralasciano nulla né l’infelice proposta di Pietro né la mescolanza di meraviglia e incredulità che li accompagna.
Non dobbiamo pensare che l’incredulità sia l’esatto contrario della fede, che l’una neghi l’altra, sono piuttosto compagne inseparabili nel nostro viaggio della vita, così la meraviglia per le opere di Dio e il loro rifiuto; il bene e il male, il giusto e sbagliato, la gioia e il dolore, l’amore e l’odio, la forza e la debolezza, la vita e la morte, l’uomo e la donna sembrano essere l’uno l’opposto dell’altro ma entrambi appartengono alla stessa realtà, o meglio si appartengono a vicenda a tal punto che l’una diventa affermazione dell’altra. La realtà non è bianca o nera, ma attraversata da innumerevoli sfumature che rendono contiguo ciò che sembra in contrasto. Dovremmo imparare dai bambini, ed è una delle raccomandazioni del Signore (Cfr. Mc 10,13-16), che riescono a coniugare con semplicità ogni aspetto dell’esistenza e armonizzare ogni contraddizione; è la loro forza ma anche la loro fragilità.
Fu trasfigurato davanti a loro
Il verbo è al passivo, la metamorfosi è iniziativa di Dio che nel Figlio manifesta la sua gloria, uno spiraglio di resurrezione, una dimensione altra della vita che nella miseria delle parole è raccontata dallo splendore esagerato delle vesti. È una sorta di “mutazione”, un salto di qualità, una nuova possibilità di essere uomo, che riguarda tutti e apre un futuro, un nuovo futuro per gli uomini. Pietro vorrebbe fissarne l’istante, bloccarlo nel presente: è bello per noi essere qui; è confortante l’uso del verbo essere ma ne è spaventato e scivola nel successivo fare. L’uomo, nella sua debolezza, ha sempre bisogno di tradurre tutto nel fare, l’opera delle sue mani lo rende sicuro di se stesso, ma è necessario che l’agire dell’uomo tragga origine dal senso originario del suo essere.
La vastità di Dio, però, non può essere contenuta nelle capanne dell’uomo, è inafferrabile come le sue promesse e i suoi doni, ma da questi siamo sopraffatti proprio come la nube che avvolge e oscura i discepoli; la luce è talmente intensa da diventare oscurità, la gloria talmente grande da diventare croce
Non c’è resurrezione se non c’è croce, ma è vero anche il contrario che non c’è croce senza che ci sia, prima o poi, una resurrezione, anche se adesso continuiamo a domandarci che cosa vuol dire risorgere dai morti.
Don Luciano Cantini
Immagine di Patxi Velasco Fano