Commento al Vangelo della Domenica II tempo Ordinario 18 Gennaio

Giovanni… fissando lo sguardo (verbo greco: emblepsas=guardandolo dentro) su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio” (Gv. 1,35-42)..

Giovanni ha impegnato tutta la sua esistenza per indicarlo, si è definito “voce” che si esaurisce nel “dire” la presenza di Lui. Ed ora Lo vede “dentro”, Lo riconosce nella sua identità profonda e invita i discepoli a rivolgersi a Lui.  Testimone mirabile! Sa fare un passo indietro, rinvia a Gesù, privandosi dei discepoli.  Non è uno di  quei leaders carismatici  o pretesi tali che pretendono o inculcano l’asservimento dei seguaci.

La fede si trasmette all’interno di relazioni umane. Ha bisogno di mediatori umani, di persone capaci di “fissare lo sguardo”,  come Giovanni,  su Gesù che passa anche oggi sulle nostre strade.  Persone che  Lo  riconoscano e lo indichino. Sappiano cogliere i segni del suo passaggio non solo nei luoghi “sacri”, ma nei luoghi della vita; e siano segno, a loro volta, per orientare  il cammino di altri.

Questo è stato Giovanni per  i suoi  due discepoli; quindi Andrea per Simone; e prima ancora Eli  che (I lett. I Sam. 3-10.19) ha guidato  Samuele al discernimento e all’ascolto della  parola del Signore.

E’ capitato anche a noi? Ognuno ricorda qualche persona simile? Una nonna, un genitore, un prete …..Ora tocca a noi, soprattutto noi adulti, voi genitori, noi comunità.

A quanti sono disponibili,  come i due che lo  “seguirono”,  Gesù domanda: “Che cosa cercate?”.

E’ la prima parola che Gesù pronuncia nel Vangelo di Giovanni. Gesù comincia con una domanda, mentre noi spesso, sia  nell’educazione che nell’evangelizzazione,  presumiamo di avere e dare, prima di ascoltare, le nostre risposte già pronte, preconfezionate.

Che cosa cercate?” La domanda è posta a due che già erano  appassionati cercatori; infatti erano diventati discepoli di Giovanni che, appunto, cercava una religiosità nuova, più autentica rispetto a quella ufficiale. Pur avendo già vissuto un’esperienza significativa, rimangono ancora in ricerca, aperti  ad una novità ulteriore; di fatti sono pronti a lasciare Giovanni per intraprendere  una nuova esperienza con quel nuovo maestro.

Che cosa cercate?” E’ una domanda che costringe a guardarsi dentro, a scavare nell’intima intenzione dell’anima, mira a rivelare, far emergere il desiderio profondo  della persona.

Domanda oggi posta  a ciascuno: “Cosa stai cercando nella vita? Quali sono le tue attese? Cerchi qualcosa oltre  le cose che possiedi, oltre l’affermazione personale, le comodità, il prestigio, la salute?”

Diceva Pascal: “Anche chi si impicca cerca la felicità”. Ma dove si trova? Un senso di appagamento della nostra ricerca di felicità  viene  dalla relazione, dall’incontro con l’altro che ci chiama per nome, offre amicizia, amore, condivide con noi gioie, incertezze e speranze e si impegna con noi. Ma c’è ancora un oltre,  un oltre che non cancella, non diminuisce, al contrario esalta la straordinaria esperienza umana dell’incontro, della relazione con l’altro.

Il cuore di ogni uomo e di ogni donna è piccolo, ma porta dentro un desiderio grande:  di  infinito, di assoluto, di eterno,  la nostalgia di Dio.

“Qualità essenziale del cristiano è il quaerere Deum” (Bose), essere un cercatore di Dio sempre: anche una volta riconosciuto Dio in Cristo, il credente rimane, in qualche percentuale non credente;  è quindi chiamato a riprendere ogni giorno la ricerca e a rinnovare l’amore.

E allora: “Che cosa cercate?”, ripete Gesù a noi. “Maestro, dove dimori?” (verbo greco, mènein  che significa abitare, rimanere, stabilire una relazione di intimità). I due discepoli di Giovanni non chiedono l’indirizzo di casa, ma come conoscerlo, come stabilire con Lui una  relazione, un’intimità amicale e coinvolgente. Ecco questo è l’oltre da cercare.

E la risposta di Gesù: “Venite e vedrete”.  Invita a fare un’esperienza, ad entrare nella stessa avventura in cui lui stesso è coinvolto. Non si stabilisce un rapporto forte con Lui senza porsi al suo seguito, senza “andare”, senza “vedere”.  Gesù non è una verità astratta di cui impadronirsi, ma, come ogni  una persona. lo si conosce nella relazione, nell’entrare in comunione con lui .

Andarono, videro dove egli dimorava (stesso verbo, mènein) e rimasero (ancora mènein) con lui.. Erano le quattro del pomeriggio”.

Ci sono state e ci sono  anche per noi le “quattro del pomeriggio”?  Si ricorda l’ora del primo incontro con la persona amata. Così l’incontro con Gesù:  una scoperta che cambia la vita, mette dentro un entusiasmo, spinge a comunicare, come si fa, appunto di una scoperta, di una novità, di un innamoramento: “Ma sai cosa mi è successo … che cosa ho visto … chi ho incontrato!”.

Così “Andrea incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: – Abbiamo trovato il Messia – e lo condusse da Gesù”. E ancora uno sguardo intenso (stesso verbo emblepsas), questa volta di Gesù  che guarda dentro Simone e  senza chiedergli nulla, gli cambia non solo  il nome in  Pietro, gli cambia la vita, e già gli affida, senza pretendere una qualche garanzia,  un particolare servizio nella Chiesa.

La Messa, anche questa Messa,  ma non solo, è “le quattro del pomeriggio”, l’ora dell’appuntamento per chi cerca, il tempo  del “rimanere” con il Signore; per poi tornare sulle strade della vita per continuare a “rimanere”, attraverso buone relazioni con gli altri. Gli altri tutti senza distinzione, anche i diversi da noi, anche gli stranieri.

Oggi “Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato”,  che ha come tema: “Chiesa senza frontiere, madre di tutti”.

E oggi inizio della “Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani”.

Due occasioni che ci chiedono di farci sempre più  entusiasti della nostra fede, più appassionati del dialogo con tutti e di ciò che unisce,  più  accoglienti e solidali. E’ così che diamo testimonianza a Gesù, “diciamo” come  Andrea al fratello Simone: “Abbiamo incontrato il Messia”, colui che risponde alle attese più profonde della persona e dell’umanità.

Don Aldo Celli