“Libertà di movimento”, 9 anni del Festival di Sabir: “Insieme contro ogni muro possiamo cambiare le politiche di accoglienza”

Non c’è giustizia sociale senza libertà di emigrare o di restare. Una verità che il Festival Sabir da anni si impegna a diffondere per costruire quella cultura dell’accoglienza e dell’inclusione oggi sempre più minata e messa in discussione.

La nona tappa di questo evento diffuso e spazio di riflessione sulle culture mediterranee si è svolta a Trieste, città di frontiera, che oggi è diventata il passaggio naturale per i migranti che dalla rotta balcanica vogliono raggiungere il nord Europa. Le Acli insieme con Arci, Caritas e Cgil e in con la collaborazione con Asgi e Carta di Roma, hanno chiamato a raccolta associazioni, istituzioni pubbliche, movimenti e soprattutto cittadini per parlare di diritti umani, cambiamenti climatici, solidarietà e pace: perché Sabir è innanzitutto uno spazio dove si cerca di cambiare le narrazioni intorno ai migranti, ai rifugiati, ai lavoratori sfruttati che tornano ad essere semplicemente delle persone. La città di Trieste ha aperto le sue porte per ospitare per tre giorni 30 incontri internazionali che si sono alternati ad attività culturali, eventi musicali, mostre e proiezioni cinematografiche.

Il Festival, dedicato al tema della libertà di movimento, è iniziato l’11 maggio, davanti a un centinaio di persone che hanno ascoltato la toccante testimonianza di Alidad Shiri, portavoce dei familiari delle vittime di Cutro: “Quando sono arrivato in Calabria, dopo il naufragio del 26 febbraio in cui è morto mio cugino, sono rimasto sconvolto nel vedere i cadaveri di bambini e donne. Ho deciso di rimanere e diventare la voce dei familiari delle vittime”. Antonio Russo, vice presidente delle Acli, ha commentato: “La situazione in questi nove anni è peggiorata. Nel mare più pattugliato del mondo è cresciuto il bisogno di respingere le navi che salvano vite umane. Siamo convinti che occorre cambiare le politiche di accoglienza del nostro Paese e che quello che sta accadendo ha delle responsabilità che oggi vogliamo richiamare”.

Dialogo interreligioso, sport come inclusione, sfruttamento lavorativo sono alcuni dei temi che le Acli hanno voluto trattare durante il Festival. In una sala della chiesa serbo-ortodossa di Trieste, il Coordinamento delle Donne Acli ha organizzato un incontro interreligioso tra le comunità serbo-ortodosse, ebraiche, islamiche, buddiste, sikh: “È la prima volta che a Sabir si parla di religione connessa alla migrazione”, ha detto Chiara Volpato, responsabile del Coordinamento Donne Acli. “Oltre alle braccia i migranti portano con sé la loro fede. Le donne, in particolare, sono delle vere e proprio leader laiche delle comunità religiose. Fanno crescere e custodiscono la tradizione e la cultura della propria terra, ma al tempo stesso sono garanti del futuro e generatrici di pace”.

Di caporalato ha invece parlato Cristiano Caltabiano, ricercatore IREF-Acli, presentando i risultati della prima parte dell’indagine “Dai margini al centro. Ricerca sulle aree di emarginazione degli stranieri immigrati in Italia con particolare riferimento all’agricoltura”, condotta da IREF-Acli, con la collaborazione di Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale e Fondazione Socialismo: “L’obiettivo dello studio è comprendere i meccanismi che portano allo sfruttamento dei lavoratori stranieri e italiani. È emerso che c’è un caporalato 2.0, una nuova forma di intermediazione occulta di lavoro e che i cosiddetti ghetti sono ormai diventati luoghi dell’abitare. È aumentata la popolazione stanziale che è più debole rispetto agli stagionali e non riesce ad uscire dalle zone di segregazione e di esclusione sociale”.

Nel teatro della Chiesa Santa Maria Maggiore di Trieste, Marco Calvetto, presidente di IPSIA Acli, è intervenuto al panel “Corridoi umanitari e vie legali di ingresso in Italia” per ribadire che con l’attuale modello previsto dalla legge rende impossibile entrare in Italia per lavoro: “Bisognerebbe attivare dei percorsi formativi nei Paesi d’origine delle persone che vogliono partire”.

Lo sport come mezzo di inclusione e riscatto sociale è stato al centro del dibattito organizzato dall’US Acli. Il presidente dell’Unione Sportiva Acli, Damiano Lembo ha dialogato con Khalida Popal, direttrice di Girl Power Organisation e fondatrice della prima squadra femminile di calcio dell’Afghanistan. “Attraverso lo sport abbiamo cercato di dare voce alle donne. Ho pagato questa battaglia con l’esilio dal mio Paese, sono diventata una rifugiata e non è stato semplice. Lo sport mi ha aiutato a superare il trauma della partenza e anche la depressione. Con l’organizzazione Girl Power vogliamo costruire ponti tra le comunità e cambiare la narrazione sui rifugiati”. Damiano Lembo, presidente di US Acli, ha ribadito: “Siamo convinti che lo sport è uno strumento importante per fare rete con le altre realtà e migliorare la condizione dei cittadini”.

Nella suggestiva location del Polo Giovani Toti, dove sorge un ‘ricreatorio’, un servizio formativo ed educativo gestito dal Comune per il benessere dei bambini e dei ragazzi, i Giovani delle Acli hanno parlato di “ErasmusPlus: una generazione che forma il mondo”. “La libertà di movimento è democrazia”, ha commentato Simone Romagnoli, Coordinatore dei Giovani delle Acli, durante il panel. “Investire in progetti sulla mobilità ci aiuta a mostrare la bellezza di essere uniti nelle diversità. Noi giovani vogliamo far vedere che siamo in grado di costruire ponti e abbattere i muri”.

Eppure come ha sottolineato Antonio Russo, vice presidente nazionale delle Acli, “nel nostro Paese vivono un milione di ragazzi di origine straniera, italiani a tutti gli effetti, che non hanno il diritto di cittadinanza e che non possono dirsi europei. Sabir è l’occasione per capire che c’è ancora una parte di mondo che ci guarda come un luogo dove quei diritti si possano realizzare”. Proprio a Omar Neffati, portavoce del Movimento italiani senza cittadinanza, scomparso prematuramente lo scorso gennaio, è stata dedicata questa edizione del Festival Sabir.

A concludere il Festival è stata la Marcia contro i muri e per l’accoglienza: sotto la pioggia più di mille persone hanno attraversato il confine tra Slovenia e Italia, per dare voce a quella parte di Europa e d’Italia che non si arrende ai muri e che vuole tutelare i diritti delle persone in cerca di protezione. “Oggi la rotta balcanica è uno dei corridoi più utilizzati, ma non ne sentiamo parlare perché controllare i confini di terra è più complicato”, ha spiegato Silvia Maraone di Ipsia Acli, durante l’evento finale del Festival. “Negli anni l’Ue ha investito sempre più fondi per fermare le persone con la costruzione di campi d’accoglienza che sono diventati centri di detenzione. Questo ha reso il viaggio più pericoloso e costoso. Ma la migrazione non si può fermare ed essere nati con il passaporto sbagliato non è una colpa. Abbiamo paura che paesi come la Croazia e la Slovenia diventino presto degli hub dove si rispediscono in Turchia le persone”.

“In questi nove anni”, ha concluso Antonio Russo, ”abbiamo fatto di tutto per cambiare le cose in meglio. Non possiamo retrocedere su alcuni principi: a migrare sono gli essere umani, non quelli che fanno le etnie. C’è un ‘Sabir’ da far crescere in tutte le città italiane. Questo è l’impegno personale che ognuno di noi deve assumere”.

In allegato la prima parte della ricerca “La lotta allo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura: scenari e politiche“, condotta da IREF-ACLI.

Fonte: www.acli.it