Omelia III domenica di Pasqua

La liturgia, oggi, ci aiuta a riflettere con delle letture bellissime. «Non è possibile che la morte lo tenesse in suo potere». Cosi si legge nella 1° lettura. No, non è possibile perché l’amore vince, siamo stati liberati con il sangue di Cristo, in modo tale che la nostra fede sia rivolta a Dio come ringraziamento, ma non per qualcosa di esterno che si aggiunge, ma come dire Grazie a colui che cammina con noi, anche quando non lo si riconosce. È uno dei brani più interessanti e belli quello dei discepoli di Emmaus. Siamo in quello stesso giorno, è il giorno della resurrezione, è il giorno della salvezza per ogni uomo, per te.

È l’oggi di Dio che entra nel nostro vivere quotidiano. Due di loro. Come sempre ricordiamo l’importanza dell’essere inviati a due a due, ma in questi caso i due non vanno ad annunciare ma, volgendo le spalle a Gerusalemme se ne vanno tristi, fanno un cammino inverso a quello di Gesù. Dalla gioia dell’incontro con Cristo, alla desolazione alla tristezza dell’essere soli. Soli ma in cammino. Si, perché l’uomo è un viandante in cerca di senso. L’uomo porta dentro sé il desiderio di scoprire, di realizzare i desideri di vita.

Non hanno compreso quanto è accaduto, ma conversano, parlano, in un certo senso non possono dimenticare quanto hanno vissuto. Parlano di Cristo, lo cercano, ma alla fine è Gesù che li trova e si lascia trovare. I due questionavano, conversavano, la parola in greco sembra voglia dire anche litigare. I due conversano sulla stessa cosa e si scaricano addosso la tristezza, presi solo dal buio e dall’assenza. Tutto questo avviene mentre camminano. Mentre continuano a camminare e a parlare Gesù avvicinatosi, camminava con loro. Il Signore si fa presente, si fa compagno di viaggio lungo i nostri percorsi, è presente nel nostro buio. Erano talmente accecati dal loro dolore e dal malumore che non riconobbero Gesù. La paura e la tristezza diventano con un velo che offusca e non rende lo sguardo puro. Ma Gesù è paziente, aspetta, parla per far rientrare quella parola per spezzare ogni paura. Che sono queste parole.

Il Signore vuole far esprimere ai due ciò che vivono, ciò che si ributtano addosso l’uno all’altro. Desidera che l’uomo parli a lui con cuore sincero.

«Ma come tu solo non sai, tu sei cosi forestiero da non sapere cosa sia successo?» E Gesù li interroga quasi a voler far uscire da loro l’amarezza, il dolore. E il discepolo continua: ciò che riguarda Gesù il Nazareno. Da quanto dicono conoscono bene Gesù, come un vero amico, ma ciò che li blocca è l’evento della morte, quasi come se avesse messo un muro a quanto vissuto insieme. Noi speravamo: si, la croce ha tolto in loro la speranza e sembra aver cancellato tutto. Rievocano quanto le donne riportarono sconvolgendo il loro dolore, il loro pianto.

Solo il Signore, il Risorto può far comprendere il senso di ogni cosa.

«Stolti, senza testa e lenti di cuore». Parole forti da parte di Gesù ma che hanno la capacità di disgelare il cuore e di aprile la mente alla verità di Dio. L’incredulità dei discepoli ha fatto mettere nel dimenticatoio le sue parole di salvezza, la sua presenza viva. Gesù spiega e dice: non bisognava  forse che il Cristo patisse queste cose ed entrasse nella sua gloria? Un passaggio d’amore scritto nella storia per la salvezza dell’uomo. Le scritture trovano compimento in Cristo. La morte di Cristo annunciata dai profeti ora è trasfigurata dalla luce pasquale. Ed ecco che sarà questa ad aprire gli occhi dei discepoli. «Dopo aver parlato Gesù fece come per andare, ma i discepoli insistettero perché dimorasse con loro». La sua presenza è garanzia della nostra vita, resterà con noi fino alla fine del mondo. Nel prendere il pane gli occhi dei discepoli si aprirono e lo riconobbero. Il riconoscimento avviene dopo la parola, nel dono del pane. Il pane realizza la parola: questo è il dono dell’eucarestia lasciato a noi. Chi mangia di lui vive in eterno (cfr Gv 6, 57). Il cuore arde perché la parola del Signore vivifica, ravviva, libera e spezza ogni schiavitù. Questo vangelo ci aiuta a discernere il passaggio del Signore nella nostra vita, Lui è presente e dimora con noi. Dalla desolazione si passa alla consolazione, alla gioia. La fede è questo rapporto personale che si alimenta nell’incontro quotidiano e assiduo della Parola e del pane.

Suor Tiziana Caputo

Suore Domenicane di Pratovecchio