“Una mano per la spesa”. La qualità nel cibo e nelle relazioni

Qualche giorno fa l’ISTAT ci ha portato una buona notizia: per la prima volta, da 4 anni a questa parte, in Italia sono diminuite le famiglie in povertà assoluta. Erano il 7% nel 2018 e sono state il 6,4% nel 2019. Ma che cosa ci riserveranno i dati del 2020? Il tornado del Coronavirus sembra essere momentaneamente dietro di noi. Ma sappiamo già che questa pandemia lascerà segni preoccupanti per tre motivi: il Covid ha creato più danni di qualsiasi altra crisi economica; questi avranno effetti molto lunghi e riguarderanno tutte le nazioni del globo.

In Italia, colpita molto duramente dal virus, per quanto riguarda il Pil, è previsto un crollo del 9,5% e il debito salirà al 159% (era 134,8%). La disoccupazione aumenterà di circa 2 punti percentuali, passando dal 10% al 12% e aumenterà vertiginosamente anche la povertà alimentare. Le Caritas diocesane, infatti, già segnalano un incremento significativo delle richieste di aiuti alimentari (+50%).

Eppure in quest’analisi di dati vi è una contraddizione: secondo l’ultimo Rapporto Waste Watcher, 2 miliardi e 200 milioni di tonnellate di cibo sono finiti in pattumiera nel 2019, che corrispondono a 11.500 miliardi di euro, quasi la metà della cifra messa a disposizione dal Decreto CuraItalia per far fronte alla crisi derivante dall’esplosione del Covid19.

Ora il lock down è stato sospeso e il Paese ha lentamente ripreso a camminare: ma come ripartire? Abbiamo la forza di cambiare un paradigma socio-economico che nel tempo ha sempre più allargato la forbice ricchi/poveri e che il Coronavirus ha ulteriormente acuito?

Nella Laudato sì, ci sono molte indicazioni per cambiare rotta e il tema dei rifiuti, ossia degli scarti, è fondamentale. Da una parte si parla di scarti materiali, prodotti da un approccio alla produzione di stampo lineare a cui il Papa contrappone l’idea di un’economia circolare, in grado di ridurre drasticamente il prelevamento di risorse vergini e di eliminare gli scarti, tentando di generare ogni nuovo processo produttivo da risorse riciclate, proprio come fa la natura con i suoi cicli vitali.

Purtroppo la cultura dello scarto non è limitata alla dimensione materiale, ma riguarda anche i rapporti umani: un paradigma volto a buttare quello che appare inutile senza la preoccupazione di creare processi di recupero, finisce per utilizzare lo stesso criterio anche verso le persone: chi, come produttore o consumatore non serve più per il sistema economico diventerà anch’esso scarto, un rifiuto umano, di cui disfarsi al minor costo possibile, creando ingenti sacche di emarginazione.

Si tratta allora di cambiare i nostri stili di vita. Da una parte ogni cittadino è chiamato a provare a ridurre il proprio impatto sull’ambiente. Dall’altra parte occorre un serio impegno da parte di chi ci governa. In questo quadro un esempio di buona politica è proprio la L. 166 del 2016 – o meglio nota legge Gadda – che ha rivoluzionato il sistema di recupero di cibo e farmaci ai fini della solidarietà, consentendo a commercianti e catene di distribuzione di conservare alimenti in buono stato che altrimenti andrebbero buttati via, donandoli a organizzazioni che garantiscono un pasto alle persone povere, in cambio di agevolazioni fiscali. La Legge di Bilancio 2018 ha poi esteso il raggio di azione della L. 166 con due emendamenti che allargano il paniere di prodotti che si possono donare per finalità sociali, semplificando ulteriormente alcune procedure ed estendendo le agevolazioni fiscali.

Tuttavia ha un ruolo fondamentale anche il capitale sociale di una comunità, alla cui base c’è la fiducia, il senso di responsabilità, la reciprocità e la solidarietà. In Italia ci sono oltre 6 milioni di persone che si impegnano gratuitamente per gli altri e per il bene comune, e in particolare nel periodo di pandemia è stato rilevato che 4 italiani su 10 hanno partecipato a iniziative di solidarietà per aiutare chi era in difficoltà.

Anche le Acli, in collaborazione con la FAP, tentano, con il progetto intitolato “Una mano per la spesa”, di fare la loro parte. E’ attivo in circa 25 realtà provinciali, con l’obiettivo di portare a casa una spesa di qualità alle persone che non riescono a farla, perché impossibilitate per motivi economici o di salute. È un gesto significativo per quelli che sono entrati in un cono d’ombra ed è al contempo un modo per sostenere l’economia locale e creare una rete di solidarietà all’interno delle comunità. Infatti la mano data non si ferma alla spesa. Le Acli, grazie ai loro servizi e ampia esperienza, curano e prendono in carico queste famiglie vulnerabili, dando una risposta ai loro problemi socio/assistenziali, in un’ottica di prossimità e protezione sociale.

Sono circa 250 le famiglie raggiunte, alcune delle quali, hanno avuto la fortuna di riprendersi e hanno abbandonato il progetto, dando il loro posto a chi soffre ancora la fame.

Si distribuiscono in totale 1.000 buste al mese che contengono una spesa mista e sana con prevalenza di frutta e verdura.

Ai territori è data ampia libertà di gestire il progetto secondo le specificità e caratteristiche locali, tant’è che, in alcuni casi, si lavora a livello regionale, in più province. In altri casi è coinvolto solo il livello provinciale o addirittura il singolo circolo.

“Una mano per la spesa” non è un progetto di grandi numeri perché alla quantità si privilegia la qualità, non solo del cibo, ma anche delle relazioni. Secondo l’Associazione, infatti, la mancanza di cibo è solo il punto di caduta finale del malessere su cui si tenta di rispondere immediatamente, ma l’obiettivo più ampio è quello di agire sul disagio e la solitudine della persona che non ha solo fame di cibo ma anche di ascolto e di rapporti interpersonali. In questo senso il progetto pone particolare attenzione al genere alimentare, ma anche al genere umano.

In realtà quest’iniziativa ha un carattere emergenziale e rappresenta una costola del più ampio progetto REBUS che si occupa di raccogliere e redistribuire eccedenze alimentari e farmaceutiche e che è attivo da oltre 10 anni sull’intero territorio nazionale. Le Acli, prima della pandemia hanno recuperato più di 2 milioni di chili di generi alimentari che altrimenti sarebbero finiti in discarica, per distribuirli a 318 mila persone. Si tratta di un lavoro diverso rispetto al progetto sopra descritto, un lavoro di grandi numeri, di governance di raccolta e redistribuzione di cibo e farmaci, che mira a superare gli squilibri distributivi e riportare il nostro Paese, la nostra comunità, lungo l’alveo della giustizia sociale e della sostenibilità ambientale.

Antonio Russo e Cristina Morga

Fonte: www.acli.it