V Domenica del Tempo Ordinario

Il vangelo di questa quinta domenica ci rapporta con la quotidianità e traendo da essa l’esperienza del nostro vivere ci detta una lezione di vita che dobbiamo tutti comprendere in pienezza ed attuarla per quanto è umanamente possibile.
In questo testo ricorrono parole e usi che sono alla portata di tutti e capirne il senso non ci vuole molto.
Riflettiamo oggi, infatti, sul questo brano del Vangelo di Matteo che presenta due parabole assai conosciute, quella della luce e quella del sale, con cui Gesù descrive la missione della comunità, nel caso specifico identificata con i primi discepoli ai quali si rivolge, come ci ricorda il versetto iniziale del Vangelo: “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli”.
Sappiamo benissimo che ogni volta che Gesù vuole comunicare un messaggio importante, ricorre ad una parabola o ad un paragone, estratto dalla vita di tutti i giorni.
Nel Vangelo di questa domenica, Gesù vuole che ognuno di noi analizzi l’esperienza che ha del sale e della luce per capire la missione di noi cristiani.
Partiamo dal sale, perché Gesù lo prende come primo esempio. In quel tempo, con il caldo che faceva, la gente e gli animali avevano bisogno di mangiare molto sale. Il sale veniva consegnato in grandi blocchi dal fornitore e questi blocchi si mettevano nella piazza per poi essere consumati dalla gente.
Il sale che rimaneva cadeva a terra, non serviva più a nulla ed era calpestato da tutti. Gesù evoca questa usanza per chiarire ai discepoli la missione che devono svolgere. Senza il sale non si poteva vivere, ma ciò che rimaneva del sale non serviva a nulla.
Poi introduce il tema della luce e ci ricorda a che cosa serve la luce. Nessuno accende una candela per collocarla sotto un moggio. Una città posta in cima ad un monte non riesce a rimanere nascosta.
La comunità deve essere luce, deve illuminare. Non deve aver paura di mostrare il bene che fa. Non lo fa per far vedere e farsi vedere, ma ciò che fa può e deve essere visto.
Il sale non esiste per sé. La luce non esiste per sé. Così deve essere una comunità: non può rinchiudersi in se stessa deve aprirsi, e come dice Papa Francesco deve essere una chiesa in uscita, non che aspetta nelle sacrestie, ma che si sporca le mani con quanti si sporcano oggi giorno per essere vicini agli altri. Noi non esistiamo per noi stessi, ma per gli altri e per Dio. Siamo un’alterità nella struttura stessa del nostro essere e del nostro esistere.
Gesù vuole far capire esattamente questo.Egli quindi assume il ruolo di maestro dei suoi discepoli e li forma in ragione della loro vocazione e missione. Per cui, con queste parabole fa ad essi un discorso molto chiaro che va capito ed attuato.
I discepoli devono essere sale e luce per il mondo, lucerne che si mettono in alto per illuminare gli altri con la santità e non con l’orgoglio o la presunzione di essere gli unici illuminati del tempo, quelli che sanno tutto e possiedono la verità, quelli che si nascondono quando c’è da denunciare il male, quelli che si ritirano nel silenzio per non parlare con il cuore alla gente e difendere i poveri e gli ultimi della terra.
In poche parole, alla fine qualcosa pur si deve essere per gli altri, come lo è il sale, che se perde il sapore, a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente, in quanto non dà più sapore, cioè non condisce di sapienza, bontà e tenerezza la mensa dei fratelli che cercano la comunione e l’unione.
E allora quale obbligo incombe su ogni discepolo del Cristo già formato o che è in via di formazione?
E’ quello che ci viene detto, senza mezze misure e con chiarezza da Gesù: “risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”.
E’ stato sempre vero e lo sarà per il futuro che al di là dei beni discorsi e delle parole contano i fatti e la testimonianza della propria vita.
Il buon esempio trascina e rendere credibile e seguibile una persona che si comporta in un certo modo alla luce del vangelo ed è coerente fino in fondo. Il sale che non sala non serve a nulla e la luce che non fa luce fa rimanere al buio, nonostante tutto, in quanto è un luce fredda, smorta e in via del totale esaurimento delle sue possibilità di rigenerare speranza in chi attende luce e illuminazione dagli altri.

Anche la prima Lettura di oggi, tratta dal libro del profeta Isaìa (Is 58, 7-10) viene ad illuminarci sul cammino che siamo chiamati a fare, se vogliamo incontrare il Signore nel volto dei fratelli e negli avvenimenti della storia, quella che oggi viviamo e ci appartiene, a partire dai vari drammi che siamo chiamati a fronteggiare a livello globale, quale la malattia, la povertà, la miseria e tutto ciò che riduce l’uomo a mero oggetto di guadagno o di scambio, dimenticandosi della sua dignità. Le azioni che il Signore ci chiede come cristiani è dividere il pane con l’affamato, è introdurre in casa i miseri, senza tetto, è il vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti. Sono le opere di misericordia corporale che ci rendono luminosi davanti a Dio. “Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà”. In ragione di questa nostra identità cristiana, quando noi invocheremo il Signore, Egli ci risponderà, quando imploreremo aiuto Egli ci sarà e non ci lascerà soli con noi stessi nella prova, Non basta solo questo è necessario, fare altro, andare più a fondo nella soluzione dei problemi della società. “Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio». In poche parole bisogna diventare strumenti nelle mani di Dio per realizzare il bene, la giustizia sociale e la rettitudine morale.

Per realizzare tutto questo, dobbiamo prendere ad esempio e modello San Paolo Apostolo che parlando di se stesso ai cristiani di Corinto, tiene ad evidenziare che quando giunse tra loro, non si presentò ad annunciare il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Lui ritenne di non sapere altro in mezzo a loro se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”. Di fonte al mistero della Croce di Cristo, Paolo si considera per quello che realmente è lui e noi tutti: un nulla. Ecco perché, vuole ricalcare il fatto che si presentò ai cristiani di Corinto nella debolezza e con molto timore e trepidazione”. Parlando a loro ed evangelizzandoli con la parola e la predicazione lo fece non con discorsi persuasivi di sapienza, ma parlando della manifestazione dello Spirito e della sua potenza. Tutto questo per diradare dubbi o false interpretazioni sulla sua persona e sulla sua missione e soprattutto sulla figura di Cristo. Preoccupazione dell’apostolo è che la fede di quei cristiani “non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”.

Esattamente quello che tutti dovremmo fare e vivere divenendo sale e luce per chi ci sta vicino e osserva il nostro agire, non sempre espressione di vera fede, di carità autentica, di speranza certa.

Padre Antonio Rungi