XXIV Domenica dl Tempo Ordinario

Eccoci al cuore del messaggio cristiano: la misericordia è il volto dell’amore di Cristo, incarnato per manifestare l’amore di Dio Padre; dunque l’amore di Dio è la misericordia.

Anche in questo delicato tema biblico c’è molta confusione; è opinione diffusa che

“misericordia” è sinonimo di “indulgenza”
“a una persona misericordiosa, gli va bene tutto”
“esercitare la misericordia significa perdonare le offese ricevute” “ad essere misericordiosi con tutti si fa la figura dei fessi” “il Dio dell’AT è un Dio severo, che maledice, che punisce, che uccide”
“il Dio del NT è invece un padre misericordioso”

“tranquilli, peccatori… tanto, Dio è misericordioso, e perdona tutti… Comoda la vita, eh!”

Che la misericordia non sia sinonimo di indulgenza lo abbiamo ripetuto fino alla nausea: Dio misericordioso perdona/cancella il peccato; l’indulgenza elimina solo gli effetti del peccato a carico del peccatore, ma il peccato rimane. L’uomo misericordioso accoglie il peccatore pentito senza rinfacciargli il suo errore, disponibile sempre a mantenere aperto il canale della relazione: e se proprio non è possibile riprendere la relazione – è il caso di un soggetto violento, il cui atteggiamento costituisca un reale pericolo per l’integrità altrui; individui del genere bisogna necessariamente tenerli a distanza di sicurezza – resta sempre la preghiera per colui che ha peccato. “Ma il peccatore non merita la mia preghiera! e poi, dopo tutto quello che mi ha fatto, dovrei pure pregare per lui?”… Un peccatore non merita mai la preghiera, tantomeno il perdono. Se meritasse qualcosa, sarebbe suo diritto riceverlo, e se non lo riceve, potrebbe a ragione pretenderlo. Il perdono non si compra; l’indulgenza sì, la storia ci insegna… Il perdono non si può pretendere, perché non è un diritto, ma un dono e, come tale, è sempre gratuito, cioè gratis dato.
E quando non c’è peccato?

La misericordia si manifesta ben oltre il perdono, come benevolenza che accoglie, che sovviene, che sa vedere al di là delle apparenze, libera da ogni pregiudizio, capace di valorizzare gli aspetti che uniscono, e non quelli che dividono…

L’esempio più eloquente sul tema della misericordia che il Vangelo ci offre è contenuto nella parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37): un Israelita giace mezzomorto sul ciglio della strada e viene soccorso da uno sconosciuto, per di più samaritano – sappiamo quale ostilità divideva gli Israeliti dai Samaritani -. Si potrebbe obbiettare: ma questa è bontà e basta! Chiunque è capace di atti di bontà; la fede non è necessaria… Meglio rileggere bene la parabola: coglierete alcune sfumature che sciolgono ogni dubbio sulla natura dei sentimenti di quel samaritano…

Ma torniamo alla parabola di oggi. Il racconto non va preso alla lettera, ma in senso simbolico; sono molti i temi che emergono dal testo: il tema dell’egoismo, della prepotenza del figlio minore, cui fa riscontro la disponibilità e la pazienza del genitore; il tema del viaggio e della lontananza, vissuta dai due personaggi – padre e figlio – naturalmente su versanti opposti, dunque con valenze molto diverse a livello di emozioni e non solo: il figlio decide di andarsene; il padre lo lascia andare.

C’è il tema dell‘attesa, un’attesa vigile, quella del padre, perseverante, animata da un unico desiderio, riavere suo figlio sano e salvo. Questo è un aspetto determinante per capire il desiderio di Dio nei nostri confronti. A Lui preme soltanto che noi siamo felici; è disposto a passare sopra il nostro peccato, purché ritroviamo la pace dentro e fuori di noi.
Ebbene sì, il pericolo peggiore per l’uomo è l’uomo stesso.

Dio, questo lo sa, e vuole liberarlo, vuole liberarci dal male che ci viene dal nostro agire sbagliato, dalla nostra fragilità di fronte alle tentazioni, dalla scarsa volontà di rifiutare le lusinghe del piacere, dalla violenza irrazionale dell’istinto, dalla sete di potere e di dominio… Nessuno di noi può vantare capacità superiori, di fronte a questi aspetti quantomeno problematici della natura umana.

C’è soprattutto il tema del ritorno. Di fronte a un peccatore che torna a casa, Dio non sa resistere! Il pentimento apre la strada alla riconciliazione; e la riconciliazione è una festa!

Il grande sconfitto, il perdente della parabola è il figlio maggiore: nel suo animo si agitano gelosia, risentimento, moralismo, durezza di cuore, incredulità nel potere dell’amore, diffidenza e sfiducia nelle buone intenzioni del giovane che è tornato a casa.

Il fratello maggiore ci rappresenta un po’ tutti, più del figliol prodigo.

Forse non ci è mai capitato, né mai ci capiterà di commettere un peccato grave come quello del protagonista della storia… Ma chissà quante volte abbiamo nutrito i sentimenti del primogenito, nei confronti di un nostro simile che riceveva misericordia, che veniva riabilitato, che addirittura veniva festeggiato… mentre per noi, che abbiamo rigato dritto tutta la vita, pazienti, obbedienti sempre, senza mai protestare,… per noi, neppure un “bravo”…

La storia si interrompe sulla porta di casa… dentro c’è un banchetto, e il figlio maggiore non vuole partecipare alla gioia del padre suo e del fratello redivivo, una gioia di famiglia… Con il suo atteggiamento, il figlio primogenito rinnega suo padre, rinnega suo fratello, rinnega la famiglia… Di fronte a una situazione del genere, noi, come reagiremmo?

Faremmo valere i principi, sacrosanti e irrinunciabili, oppure ci arrenderemmo alla misericordia? Attenzione: la misericordia non si oppone ai principi, semplicemente non si ferma ai principi, ma sa andare oltre… Ricordiamo che cosa dichiara san Paolo in merito al legame tra la Legge e il peccato (cfr. 1Cor 15).

Ripeto la domanda: di fronte a una situazione del genere, come reagiremmo?

Onestamente, la risposta non è per niente scontata…

fr. Massimo Rossi