Commento al Vangelo della domenica I^ Avvento 30 Novembre

Se tu squarciassi il cielo e scendessi!

Il lamento straziante sale dalla bocca di uno degli autori del libro del profeta Isaia, in esilio in Babilonia dopo la durissima sconfitta contro Nabucodonosor. Nessuna speranza all’orizzonte, nessuna possibilità di riscatto, solo l’amarezza dell’esilio e della schiavitù.

Non ci sono più i Patriarchi a difendere Israele, Patriarchi che certamente si vergognano dei propri discendenti, incapaci a gestire la propria politica estera, alleandosi con le nazioni sbagliate.

E, per la prima volta nella Bibbia, il Dio dei patriarchi viene invocato col titolo padre.

Titolo che non veniva usato perché comune nell’invocazione pagana alle proprie divinità.
Ma ora non c’è più remora, né timore di essere ambigui.
Non c’è più il tempio, né la città santa, né il re.
Tutto è perduto.

Solo sale quell’invocazione fatta quasi sottovoce, una immensa ricerca di salvezza, un grido silente.
Se tu squarciassi il cielo e scendessi!

Un grido che ancora sale da questa terra d’esilio in cui siamo.

Grida

No, non sono le lamentazioni insopportabili dei lamentosi di turno, quelli che hanno colpevolmente taciuto mentre depredavano la nostra piccola italietta. E nemmeno le urla sguaiate dei politici ai talk-show, sempre in prima fila nell’accusare gli avversari, senza pudore, senza un adulto che abbia il coraggio di assumersi le proprie responsabilità.
È il grido di chi vede il mondo disgregarsi attorno a sé.
Simile, molto simile, al tempo in cui viviamo.

In cui qualcuno pensa di rendere un favore a Dio sgozzando le persone.

In cui l’interesse di pochissimi ha mandato sul lastrico la maggioranza.
In cui nessuno sembra avere le soluzioni.
In un lugubre dissolversi della scena di questo mondo.
Se tu squarciassi il cielo e scendessi!

E così accade. Dio ha squarciato il cielo ed è sceso. Dio squarcia il cielo e continua a scendere.

Instancabile salvatore, plasma il cuore degli uomini che lo invocano, come fa il vasaio con la creta. E l’avvento è il tempo in cui accorgerci delle mani di Dio che ci stringono, ci abbracciano, ci plasmano.
Finalmente.

Siamo onesti

Questo è un tempo liturgico straordinario, di attesa, di crescente gioia, di desiderio che trova il suo spazio. O una ulteriore occasione di sofferenza. O di perdita di tempo. O di pagliacciate.

Sapete come la penso riguardo al Natale, a come lo abbiamo svilito, umiliato, stravolto.

E se la crisi, non solo economica ma esistenziale, per una volta ci aiutasse a smettere i panni inutili delle facili emozioni per diventare, infine, credenti?
Ad attendere lo sposo, infine?

Quel padrone di cui siamo servi? Quell’amico che tanto amiamo e che ci ama? Quel senso del tutto che sembra essersi perso? Anche nella nostra Chiesa, a volte, così contagiata dalla logica mondana, pronta a schierarsi, a discutere invece che ha dibattere, a contrapporsi invece che ad arricchirsi?

L’inizio di questo tempo di avvento è folgorante, intenso, luminoso: siamo chiamati alla vigilanza.

A svegliarci, infine.

Sveglia!

In questa domenica uggiosa ho sorriso leggendo il Vangelo di inizio avvento.

Quando mio figlio pre-adolescente si perde nei suoi mondi interiori fantastici (ed è bellissimo che accada) trascurando però la realtà che lo circonda lo redarguisco: sveglia!

Ed è la stessa cosa che oggi ci chiede Gesù, attraverso Marco, che da oggi ci accompagna col suo piccolo, meraviglioso vangelo.
Sveglia!

Viviamo in un sonno catatonico dell’anima, in un perenne stato di coma interiore, tutti travolti dalle cose da fare, dai problemi da risolvere.

Il nostro mondo ci restituisce una quotidianità delirante, con ritmi insostenibili. La tecnologia, che ha velocizzato e semplificato le relazioni, in teoria, in realtà le ha fatte implodere. Sono sempre più stranito, quando viaggio in metropolitana a Milano o a Roma, vedere centinaia di persone chattare, ascoltare musica, relazionarsi… con un telefoni, mentre le persone e la vita reali sono lì, sedute accanto a loro.

Mi ribello a questo mondo, non voglio che uno strumento diventi un fine.
Voglio vivere. Vivere densamente, vivere da vivo.
E per farlo devo svegliarmi.

Sonni mortiferi

Nel Getsemani gli apostoli si addormentano per grande tristezza.

Il dolore ci può anestetizzare, disconnettere dalla realtà. O il troppo lavoro. O lo sballo.

Il sonno della coscienza, l’anestesia dell’anima ci tagliano da noi stessi.

Questo è l’avvento: un bel bricco di caffè spirituale per restare svegli.
Perché il Signore viene.
Tornerà alla fine dei tempi, certo.
Ma viene ora, qui, adesso.
Non come quando mi sono convertito. O come un anno fa.
Oggi.
Dio ancora squarcia il cielo e scende.

Speriamo di esserci.

Paolo Curtaz