Gli anziani rubano davvero il lavoro ai giovani?

Si è soliti pensare che la presenza degli anziani nel mondo del lavoro ostacoli l’ingresso dei giovani, così condannati ad una ingiusta quanto disastrosa disoccupazione. Si parla apertamente di “tradimento“ del patto generazionale, idea molto radicata tra la gente e ritenuta inconfutabile.

Eppure tale opinione, che è considerata un dogma, è stata recentemente messa in discussione dal saggio “L’inganno generazionale”, scritto da Alessandro Del Boca e Antonietta Mundo, i quali hanno dimostrato che molte di quelle convinzioni che riteniamo essere dei veri e propri assiomi, in realtà altro non sono se non luoghi comuni o addirittura vere e proprie bufale.

Secondo i due autori, considerando i grandi numeri – e non limitandosi ai casi personali o alle analisi emotive e/o superficiali – non esiste alcuna correlazione tra i tassi di occupazione degli anziani e quelli dei giovani.

In pratica, non è vera l’equazione per cui se gli anziani smettono di lavorare, i giovani automaticamente trovano lavoro.

Le attuali economie, infatti, lungi dall’essere facilmente riconducibili a meri contenitori, generano posti di lavoro sulla base di tante variabili – innovazione, competitività, capitale sociale – che virtuosamente mescolate tra loro, producono occupazione. Questo dato è confermato da indagini condotte su larga scala.

La maggior o minor presenza di anziani in un particolare contesto, dunque, non incide sui tassi di occupazione dei giovani.

Un altro luogo comune che viene smontato è quello secondo cui la riforma Fornero delle pensioni avrebbe prodotto effetti deleteri tanto sui lavoratori quanto sui pensionati. Eppure, ad una verifica più approfondita, si scopre che, in base agli ultimi dati Ocse del 2014 (ultimo dato disponibile), l’Italia è il paese con una tra le più basse medie europee di pensionamento, inferiore ai 62 anni.

Invece il tasso di sostituzione (ossia il rapporto fra l’ultima retribuzione e il primo trattamento pensionistico) è tra i più alti.

Esiste inoltre un altro aspetto che occorre valutare. Con l’allungamento della vita media, ad un pensionato si prospettano circa altri vent’anni in cui si è “costretti” ad una uscita forzata dal lavoro, con una conseguente dispersione di saperi, energie e competenze. Il welfare dovrebbe ripartire da questa considerazione, rivalutando le enormi risorse presenti negli over 65, soddisfandone i legittimi bisogni, ma mettendoli altresì in condizione di poter continuare ad operare nell’interesse collettivo della società.