Green Pass: le ACLI in piazza domani 16 ottobre per dire no a tutti i fascismi

L’intollerabile aggressione di stampo fascista alla sede nazionale della CGIL deve essere condannata con forza da ogni sincero democratico nel nostro Paese, e sanzioni adeguate andranno applicate a persone ed organizzazioni responsabili dello scempio che si è visto per le vie di Roma il 9 ottobre. Su questo punto non sono ammissibili distinguo di sorta, né riguardo alla condanna della violenza né riguardo alla sua matrice che è ben nota e addirittura rivendicata dai responsabili. Le Acli saranno in piazza, domani 16 ottobre, per dire No ad ogni tipo di fascismo e di violenza. Il reiterarsi di manifestazioni e proteste contro il green pass, la campagna vaccinale e le misure governative per arginare la pandemia ci dicono che c’è un disagio sociale diffuso, palpabile, frutto probabilmente anche del modo in cui sono state affrontate dagli attori politici ed istituzionali le ricadute dapprima della crisi economica globale del 2007 /2008 e poi dell’evento pandemico.

Nella piazza del 9 ottobre,  insieme ai fascisti, c’erano altre persone che fasciste non sono e, accanto all’esasperazione per lo stravolgimento della loro vita determinato dalle misure di contenimento della pandemia (misure che peraltro sono in via di attenuazione proprio grazie ai vaccini) va considerata indubbiamente anche la paura riguardo al futuro loro e dei loro figli in un contesto in cui uno dei probabili rischi è che i vantaggi della ripresa vadano a beneficio dei soliti noti ed una volta di più il prezzo maggiore della ristrutturazione del sistema economico venga pagato da un ceto medio impoverito e fragile, con conseguenze dannose per la pacifica vita democratica.

Non è un caso che il decennio successivo alla crisi economica abbia fatto riscontrare una serie di exploit di forze politiche di matrice populista e sovranista, che con le loro teorie e visioni semplicistiche, la loro pretesa di distinguere fra un popolo buono ed una c.d. “elite” cattiva, il richiamo a tradizioni obliate e a pulsioni di tipo xenofobo, l’uso strumentale del messaggio religioso, hanno di fatto creato l’humus naturale per il rifiuto di ogni forma di complessità, sia in campo politico, che culturale, che scientifico.

In pari tempo, la delusione per i comportamenti adottati da queste forze politiche nel momento in cui esse stesse sono diventate parte della c.d. “elite” andando al Governo, per le alleanze stipulate, per le promesse rimangiate, per gli atteggiamenti non troppo dissimili da quelli della classe politica precedente, ha causato un’ulteriore rapida disaffezione dell’elettorato che si è manifestata anche nel ricorso massiccio all’astensione dal voto, come del resto si è visto nella recente tornata elettorale del 3-4 ottobre.

Le forme di protesta, sempre più violente, come accaduto a Washington lo scorso gennaio e a Roma in questi ultimi giorni, ci ricordano che occorre operare per ricucire il tessuto nazionale. La crisi pandemica ha lasciato una pesante eredità economica e occupazionale, che però tende ad aggravare lacerazioni preesistenti e diseguaglianze storiche della nostra società. Dobbiamo lavorare in profondità per sanare queste ferite e per far sì che non si inveri quanto scritto da papa Francesco in Evangelii Gaudium: la diseguaglianza crea insicurezza e l’insicurezza crea violenza.

Come ACLI abbiamo rilevato nel nostro recente dibattito congressuale che il normale svolgimento della democrazia rappresentativa è ora sotto il duplice attacco del populismo, che vuole rimodellarla in nome della c.d. democrazia “diretta” e priva di intermediazioni, e della tecnocrazia, che si sostituisce alla volontà popolare in quanto riduce la politica alla pura e semplice applicazione di regole efficientistiche. È  una specie di moto pendolare, di gioco a somma zero, dal momento che la percezione che tutte le forze politiche tradizionali abbiano rinunciato alle loro differenziazioni più radicali adeguandosi al paradigma tecnocratico alimenta i consensi dei populisti che possono con qualche ragione dire che gli altri “sono tutti uguali” e che loro, invece, hanno un passo diverso.

Però, la modalità di governo dei populisti fa emergere l’incapacità di corrispondere alle aspettative alimentate, rendendo necessario il ritorno periodico della tecnocrazia alla gestione degli affari pubblici.

Che cosa si può fare, giunti a questo punto? È quindi questo il momento di una grande fase di unità nazionale che, al di là delle legittime e doverose distinzioni fra le diverse forze politiche, si ponga da qui al 2023 degli obiettivi ambiziosi, in primo luogo sotto il profilo sociale, sapendo che l’occasione ricostruttiva data dal PNRR non può essere sprecata, e quindi ripensando attentamente a questioni sul tappeto da troppo tempo, come la ridefinizione dei livelli essenziali di assistenza e di prestazione, il ripensamento complessivo del sistema della Sanità territoriale (che è questione, lo abbiamo dolorosamente visto, di rilevanza nazionale), la riduzione degli squilibri territoriali e della sperequazione nella dotazione delle risorse, il rafforzamento della portata redistributiva del sistema nazionale di imposte e trasferimenti, nel miglioramento del sistema dell’istruzione pubblica e nel contrasto alla povertà educativa.

Stiamo attraversando una crisi senza precedenti e in questo passaggio così delicato ci aspettiamo  che i partiti riprendano il loro ruolo di mediazione politica e le istituzioni ne sappiano raccogliere le istanze affinché i cittadini si sentano davvero rappresentati. Il patto sociale in democrazia non si nutre soltanto della possibilità di poter eleggere i propri rappresentanti e governanti o di poter esprimere liberamente la propria opinione, ma anche e soprattutto della promessa implicita di un miglioramento della propria condizione sociale e del mantenimento degli strumenti di welfare che siamo abituati a considerare come parte integrante di un progetto di cittadinanza democratica inclusiva così come del resto coerentemente indica lo sviluppo della Dottrina sociale della Chiesa dalla Pacem in terris in poi.

Questo sforzo, teso quanto mai a rendere concreti i diritti e la coesione sociale, è determinate per evitare che qualcuno speculi su difficoltà, disorientamento e disagio sociale, e per garantire che opinioni differenti su come va affrontata la pandemia possano confrontarsi arricchendo  il clima civile e democratico. La democrazia è e si nutre di una discussione sempre aperta nel rispetto delle decisioni che intanto vanno prese con chiarezza, specie in capo alla responsabilità di governo, soprattutto in questa fase pandemica ancora non chiusa e che ancora, se si fanno passi falsi, potremmo veder rapidamente mutare in nuove ondate e in un nuovo blocco del Servizio Sanitario Nazionale, a danno, anche grave e irreparabile, soprattutto delle persone maggiormente fragili.

Fonte: www.acli.it