Il Governo non sia timido sulle vere urgenze del lavoro

Alla vigilia della Festa dei lavoratori dobbiamo purtroppo rilevare come il Governo continui a procedere con timidezza su tre urgenze impellenti che ancora una volta non si vuole affrontare d’impatto:
– l’impoverimento economico e non solo del lavoro,
– la crescita della bassa occupabilità di tanta popolazione attiva
– e il crollo della popolazione in età da lavoro.
Un errore a maggior ragione nel momento in cui si deve imprimere un cambio di passo sull’applicazione del PNRR.
L’impoverimento del lavoro è economico e non solo. Non bastano i piccoli tagli al cuneo fiscale, specie se fatti a debito. Solo da noi negli ultimi tre decenni i salari sono calati, mentre nel resto d’Europa salivano oltre il 30% e, come paiono dire i nostri dati su quanto il lavoro dia da vivere, oltre il 40% delle donne (quasi il 50% sotto i 35 anni) hanno redditi da rischio soglia di povertà se per esempio si ammala un genitore, si divorzia o perfino se si fa un figlio, visto anche che quasi metà delle neomamme è senza lavoro. Non è solo questione di soldi, c’è innanzitutto la babele dei mille contratti collettivi nazionali che consente tanta concorrenza sleale e alimenta un mercato del lavoro dalle regole sempre più opache e “al ribasso” che purtroppo esiste anche nell’indotto dello Stato e degli enti pubblici. Finché non arrivano i giudici del lavoro (quando ci sono le vertenze), appesantendo così una giustizia che resta l’ultima istanza a causa del lassismo di altre istituzioni.
A dispetto di tante situazioni e aziende, che andrebbero loro sì, agevolate, in cui si investe sulla collaborazione tra datori di lavoro e lavoratori puntando con occupazione stabile sulla qualità del lavoro e sull’innovazione, si fa sempre più largo un’economia del compromesso al ribasso: tanto sommerso, lavoro grigio e nero, con conseguenze anche sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Non esitiamo a dirlo, complessivamente il Paese vive spesso del male che lo uccide: la furbizia e le scorciatoie a scapito dell’intelligenza e dell’onesto faticare.
Tra le nostre 10 proposte contenute nel documento “Lavorare pari” c’è innanzitutto un piano straordinario per l’occupazione femminile; la penalizzazione dei ritardi eccessivi nei rinnovi dei contratti collettivi, con il ritorno della scala mobile solo per questi casi; la piena attuazione della Costituzione prevedendo subito un confronto tra le parti sociali che porti all’estensione a tutti dell’obbligo di applicare i salari minimi previsti dai contratti collettivi maggiormente rappresentativi. E questi obblighi devono essere estesi a tutte le catene di produzione, filiere, fornitori, appalti privati e pubblici. Obblighi che devono includere l’essere meno timidi verso la concorrenza sleale di tante multinazionali (a scapito della maggioranza di aziende serie), il cinismo della speculazione finanziaria e non, e i privilegi fiscali.
Proponiamo anche un indice statistico che misuri quell’esistenza libera e dignitosa che la Costituzione chiede alle retribuzioni di assicurare, anche perché molti contratti sono stati annullati in tribunale anche facendo ricorso alla sola soglia Istat della povertà assoluta, troppo bassa per rispettare il mandato costituzionale e per giunta impropria perché, per ipotesi (stando solo a questo riferimento), variando il valore della soglia anche a seconda della residenza, un rider potrebbe vincere una causa se abita in città e perderla se abita appena fuori città.

La bassa occupabilità, che è il problema prevalente anche tra i cosiddetti “occupabili” del Reddito di cittadinanza, nonché di tanti giovani e adulti, è destinata a crescere perché l’innovazione corre più delle politiche, dei fondi e della lentezza nel loro utilizzo. È ora di fare orientamento vero e personalizzato alla scelta degli studi. È ora di smetterla di dire che l’apprendistato che prevede una forte parte di formazione professionale deve essere lo strumento privilegiato di ingresso nel mondo del lavoro e poi alla prova dei fatti si taglia e cuce sul tempo determinato e sui voucher, di fatto rendendo più costoso il lavoro stabile, mentre la stessa formazione professionale è scarsamente diffusa in larga parte del territorio e continua ad essere considerata scuola di serie b nell’ammontare e nella continuità dei finanziamenti. Bassa occupabilità che reclama il diritto alla formazione permanente e si affronta innanzitutto tornando a un vero sistema educativo che faccia spazio a quelle sperimentazioni nell’istruzione che escono dalla logica della sola lezione e spingono verso il cooperare per esser protagonisti dell’apprendimento e di una Scuola comunità nelle comunità. In ogni caso crescerà la popolazione di chi resta scarsamente occupabile, perché l’innovazione accelera sempre più, quindi a partire dal rispetto delle clausole sociali che impongono nel PNRR l’assunzione negli appalti di donne, giovani e persone con disabilità, nell’indotto pubblico va diffusa una nuova forma di clausola sociale per far sì che in alcune situazioni concessioni e appalti siano obbligati a prevedere quote di assegnazione dell’attività ad imprese sociali (e non solo) che garantiscano l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate (per esempio partendo dalle gare sugli stabilimenti balneari).

Infine il crollo della popolazione in età da lavoro (670.000 negli ultimi 3 anni, milioni nei prossimi lustri) impone un salto di qualità su servizi e sostegni su infanzia, famiglia e non autosufficienza. Ma questo da solo non basta perché è già tardi: le donne nell’età media delle mamme, le 33enni, sono numericamente oggi i 2/3 di vent’anni fa. Occorre anche per questo guardare la realtà che vedrà anche il risparmio delle famiglie crollare (è fatto soprattutto di abitazioni destinate di questo passo ad essere disabitate) e darsi una regolare politica di accoglienza e integrazione dei migranti. Lo si faccia cominciando dal soccorrere, e non invece tenendosi lontani, da chi fugge da guerre, dittature e povertà.

Il tempo stringe, per troppi decenni si è proceduto per inerzia e rimandi sulle profonde trasformazioni sociali ed economiche del Paese, ora il futuro è arrivato e ci consegna soprattutto una guerra globale a pezzi sempre più diffusa, inclusa l’Ucraina invasa dal quel presidente russo che un anno dopo essersi annesso la Crimea veniva accolto sul tappeto rosso dell’Expo di Milano, nel plauso quasi generale. Una pagina che dovrebbe far riflettere tutti noi, nessuno escluso, su come l’interesse economico da solo alla lunga finisca per uccidere l’economia stessa.

Stefano Tassinari
Vicepresidente nazionale ACLI

Fonte: www.acli.it